Diffusione del welfare aziendale: dalla legge di stabilità 2016 un ulteriore impulso alla negoziazione

 di Gaetano Giannì* 
  1. – La diffusione su nuove basi del welfare aziendale si appresta a diventare una delle novità più interessanti nel mondo del lavoro e delle relazioni sindacali. Il fenomeno si è sviluppato soprattutto grazie alla capacità progettuale emersa in alcune realtà industriali, dove sono stati pensati e realizzati accordi aziendali fortemente innovativi. La recente legge di stabilità 2016 (28 dicembre 2015, n. 208) ha cercato di dare poi un ulteriore impulso alla sua diffusione, prevedendo misure di incentivazione fiscale e favorendone il carattere relazionale e non più paternalistico.

Per introdurre in poche righe il tema, con l’ovvia precisazione che il fenomeno presenta aspetti di complessità che meriterebbero ben altri approfondimenti, si può dire che il welfare aziendale, riconducibile al più ampio “welfare privato” – od a quello che viene sovente chiamato “secondo welfare” – è costituito da tutti quegli strumenti, non solo economici o retributivi, che hanno come fine la realizzazione di obiettivi sociali e del migliore benessere psico fisico del lavoratore, e dei suoi familiari. In genere si afferma che la diffusione del welfare aziendale è andata di pari passo con la riduzione del welfare state, sempre più penalizzato dalle politiche di bilancio che i governi sono stati costretti a porre in essere negli ultimi decenni. In realtà, il fenomeno ha una sua forza intrinseca, che viene dalla sua capacità di dare risposte a bisogni nuovi della società moderna, nonché dalla flessibilità degli strumenti di tutela che vengono erogati, che possono essere usufruiti dai lavoratori in modo differenziato e personale.Si possono quindi ricomprendere nell’ampio concetto di welfare aziendale i più tradizionali strumenti di tutela in materia di previdenza complementare e di assistenza sanitaria, ai quali si affianca tuttavia una visione più moderna ed evoluta della tutela della salute psico-fisica dei lavoratori, che si fonda sul concetto di “benessere organizzativo”, ossia sulla attitudine dell’organizzazione produttiva aziendale a porre il dipendente nelle migliori condizioni di lavoro possibili, da un punto di vista fisico (salute, sicurezza), psichico e relazionale. Si parla quindi di work environment (qualità del luogo di lavoro, clima organizzativo, formazione, coaching, mentoring, sviluppo e carriera, diversity management) e di company environment (bilancio sociale; certificazioni su ambiente, qualità, sicurezza; valori e comportamenti). Si tratta ovviamente di una fattispecie in evoluzione, e gli obiettivi del cd. benessere organizzativo sono ancora lontani dall’essere pienamente realizzati. Ma si tratta comunque di una prospettiva molto interessante.Scendendo su un piano più concreto e riferito all’attualità, occorre evidenziare che la maggior parte degli strumenti richiesti dai lavoratori, e concessi dagli imprenditori, mirano a realizzare una compiuta work-life balance, ed integrano su tale tema la già intensa protezione legale esistente (si pensi alle tutele in materia di genitorialità, o di istruzione dei figli, etc.). Altri strumenti invece hanno una fortissima carica innovativa, come la flessibilità personale nell’orario di lavoro, il time saving, ossia lo svolgimento in favore del lavoratore di servizi semplici ma che richiedono tempo (come ritirare una raccomandata o comprare un biglietto del teatro), o ancora il job sharing familiare, in pratica la possibilità di farsi sostituire da un parente in una giornata lavorativa.Gli strumenti del welfare aziendale sono innumerevoli, possono riguardare la mobilità nel territorio dei lavoratori, i servizi culturali e sportivi, le agevolazioni di carattere commerciale, il sostegno al reddito familiare, la flessibilità nella prestazione.Il circuito virtuoso che ha fatto crescere il fenomeno è certamente costituito dalla confluenza di interessi tra imprenditori e lavoratori. L’ovvia, ma spesso ignorata influenza del benessere del lavoratore sulla sua prestazione fa aumentare infatti la produttività del lavoro, che costituisce un vantaggio per l’imprenditore. Non a caso, negli accordi aziendali maggiormente innovativi (ne è un esempio quello firmato nel 2011 in Luxottica) sono previsti strumenti per utilizzare l’aumento di produttività per l’erogazione di misure di welfare.

  1. – Il welfare aziendale ha cominciato a diffondersi nell’Italia del dopoguerra, grazie all’azione di imprenditori lungimiranti, come Olivetti e Marzotto. Ma proprio per la sua genesi e per la sua fonte, il pur interessantissimo fenomeno affermatosi nelle realtà industriali di tali imprenditori risultava fondato su una concezione paternalistica della tutela erogata. E peraltro, solo il sistema di welfare aziendale fondato sulla elargizione libera e volontaria dell’imprenditore è stato favorito fiscalmente fino alla recente legge di stabilità 2016. Come è noto l’art. 51 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 “Testo unico delle imposte sui redditi” (TUIR), prima della novella, prevedeva una defiscalizzazione delle erogazioni solo se unilateralmente disposte dal datore di lavoro, salvo casi limitatissimi. La concreta applicazione della normativa fiscale nel tempo aveva affermato il principio per cui tutto ciò che viene erogato dal datore di lavoro in occasione del lavoro, sia in denaro, sia in beni e servizi di valori corrispondenti (fringe benefit) doveva considerarsi “retribuzione”, ed essere soggetto al relativo regime fiscale e contributivo. La legge di stabilità 2016 ha invece innovato la materia.

2.1. – La nuova normativa è stata introdotta dall’art. 1, commi da 182 a 191, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), che ha inciso sul trattamento fiscale del reddito da lavoro dipendente. Nei commi da 182 a 189 è stata fissata la disciplina fiscale dei premi di produttività. Come è noto, le misure di defiscalizzazione del premio di risultato non costituiscono una novità nel nostro ordinamento. Ma sono state introdotte alcune variazioni di disciplina rispetto al passato. In generale, il regime agevolato consiste nell’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali regionali e comunali, nella misura del 10%, entro il limite di importo complessivo del relativo imponibile di 2.000,00 euro lordi. Il limite di reddito agevolabile è incrementato da 2.000,00 a 2.500,00 euro per le imprese che prevedono precise forme di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro.Per potere usufruire dell’agevolazione, il premio di risultato, di ammontare variabile, deve essere collegato a: incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, misurabili e verificabili con i criteri definiti da apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da poco emanato (DM 25 marzo 2016).La novità, introdotta con la legge, è che sono incluse nell’agevolazione “anche le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili”. Su tale argomento, il decreto ministeriale ha chiarito che l’agevolazione può riguardare anche gli utili relativi al 2015, se distribuiti secondo le condizioni stabilite dalla legge 208/2015, ma in tal caso il contratto collettivo che li prevede (se non è stato fatto prima) deve essere depositato presso la DTL, ai sensi dell’art. 14 d. lgs. 151/2015, entro 30 giorni dalla pubblicazione del decreto in G.U..Le disposizioni sopra richiamate si applicano al settore privato, e sono circoscritte ai titolari di reddito di lavoro dipendente che non abbiano superato, nell’anno precedente a quello di percezione, la soglia di 50.000,00 euro.La legge precisa che il periodo obbligatorio di congedo di maternità è computato ai fini della determinazione dei premi di produttività (co. 183) e che la nuova disciplina si applica esclusivamente alle somme e i valori corrisposti in esecuzione di contratti collettivi territoriali o aziendali di cui all’art. 51, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ossia ai contratti stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o di contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali delle suddette associazioni ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria (co. 187).

2.2. – Il comma 184 contiene una disposizione notevole ai fini della promozione del welfare aziendale. Stabilisce infatti che le somme e i valori erogati dal datore di lavoro a favore del lavoratore dipendente ed esclusi da imposizione Irpef ai sensi del comma 2 e dell’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 51 del TUIR, continuano, nel rispetto dei limiti ivi indicati, a non concorrere alla formazione del reddito di lavoro dipendente, né sono soggetti all’imposta sostitutiva in esame, anche nell’eventualità in cui tali benefici siano fruiti, per scelta del lavoratore, in sostituzione, in tutto o in parte, dei premi di produttività che gli spetterebbero e che rientrerebbero nel regime agevolato sopra sommariamente descritto.

Per comprendere bene la portata innovativa del nuovo regime, occorre ricordare anche le ulteriori modifiche apportate dalla legge di stabilità 2016 all’art. 51 del TUIR. In particolare:

  • la lett. f, 2, art. 51 TUIR, stabilisce che non concorre a formare il reddito del lavoratore “l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100”
  • la lett. fbis, del medesimo comma 2, include nell’area dell’esenzione dal reddito di lavoro dipendente “le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro … per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell’articolo 12, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari”;
  • la f-ter, co. 2, art. 51 TUIR, prescrive che non concorrono a formare il reddito del lavoratore dipendente “le somme e le prestazioni erogate dal datore di lavoro … per la fruizione dei servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti indicati nell’articolo 12”.
  • il nuovo comma 3-bis dell’art. 51 del TUIR stabilisce che l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi agevolati da parte del datore di lavoro può avvenire mediante documenti di legittimazione, in formato cartaceo o elettronico, riportanti un valore nominale (in pratica la norma consente l’utilizzo di voucher per l’erogazione di servizi di welfare aziendale da parte del datore di lavoro al lavoratore e ai suoi familiari).

Condensando le considerazioni per quanto di interesse nel presente scritto, la riforma del regime fiscale dei premi di risultato e delle prestazioni di welfare, contenuta nella legge di stabilità 2016, presenta tre notevoli effetti:

a) in primo luogo, si evidenzia l’estensione significativa dell’area dei servizi inclusi nel regime di totale defiscalizzazione (indicati nella nuova lettera f-bis, 2, art. 51 TUIR; mentre nella precedente formulazione, l’area di esenzione riguardava solamente “la frequenza di asili nido, colonie climatiche e l’erogazione di borse di studio). Inoltre, si evidenzia l’inclusione nel medesimo regime di esenzione anche delle “somme”, e non solo più delle “prestazioni”, erogate dal datore di lavoro in materia di assistenza sociale, riguardanti i servizi di assistenza dei familiari anziani o non autosufficienti, di cui al co. 1, art. 100, TUIR (lettera f-ter, co. 2, art. 51 TUIR);

b) di particolare rilievo è l’attribuzione al lavoratore della facoltà di scelta di fruire il premio di produttività in “servizi” anziché in denaro (co. 184, art. 1, l. 208/2015). I servizi ovviamente devono ricadere tra quelli indicati nel 2 e nell’ultimo periodo del co. 3, dell’art. 51 del TUIR, e comunque non possono essere superati i limiti di importo sopra previsti per le agevolazioni dei premi di produzione, ma il vantaggio è evidente: un premio in denaro di 2.000,00 euro soggiace al pagamento dei contributi (con quota a carico del lavoratore) ed all’imposizione fiscale del 10% a fini Irpef; ma se il lavoratore sceglie di impiegare il premio per un servizio scolastico (per esempio il pagamento delle tasse) può utilizzare l’intero importo di 2.000,00 euro, esente da contributi ed imposizione fiscale;

c) infine, last but not least, deve evidenziarsi l’importantissima valorizzazione della contrattazione aziendale quale strumento di disciplina degli strumenti di welfare, soggetti a regime fiscale incentivato. In precedenza, secondo una linea interpretativa particolarmente rigida del TUIR, mantenuta nel tempo dall’Agenzia delle entrate, qualunque somma attribuita ad personam al lavoratore costituiva reddito da lavoro dipendente (principio di onnicomprensività della retribuzione), mentre erano escluse solamente le liberalità sostenute unilateralmente e volontariamente dal datore di lavoro e non in adempimento di un vincolo contrattuale.

  1. – Tirando le somme di questa brevissima analisi deve osservarsi come, per una volta, le istituzioni pubbliche si siano mosse quasi all’unisono con gli stakeholders che hanno favorito e concretizzato la diffusione del fenomeno del welfare aziendale, completando sul piano fiscale e normativo le potenzialità emerse nelle relazioni industriali e sindacali. Il welfare aziendale realizza un livello elevato di confluenza tra gli interessi dei lavoratori e quelli del datore di lavoro, tanto da potersi dire che in tale ambito si stia affermando un modello di relazioni sindacali partecipativo, diverso da quello tradizionalmente conflittuale. In tali accordi, infatti, vengono costituiti modelli di governance condivisa, in grado di reperire e gestire le risorse da destinare alle strategie di welfare ed operare nel contempo affinché il benessere dei lavoratori produca un vantaggio anche all’imprenditore, in termini di miglioramento della produttività del lavoro, sia sotto il profilo qualitativo che sotto quello quantitativo. Esistono indubbiamente delle criticità che dovranno essere affrontate. Allo stato il welfare aziendale è diffuso solamente tra le grandi aziende del Centro e del Nord, mentre le piccole aziende e le aree territoriali in crisi non esprimono rilevanti progetti di welfare privato.Le misure di welfare aziendale inoltre riguardano essenzialmente i lavoratori dipendenti, e lasciano fuori tutti quei lavoratori autonomi che costituiscono una parte rilavante delle realtà aziendali moderne, soprattutto di quelle che operano nel mercato dei servizi.Tuttavia il fenomeno va guardato con molto interesse, per le potenzialità che esprime in termini di sviluppo degli strumenti sociali a disposizione dei lavoratori, di miglioramento della competitività delle imprese e, soprattutto, in termini di affermazione di un modello partecipativo di relazioni sindacali e di esecuzione del contratto di lavoro, tanto che nell’art. 12 della Relazione illustrativa del Governo al disegno di legge di stabilità 2016, il legislatore ha ricondotto le proposte riguardante le misure di welfare aziendale alla finalità del rafforzamento della partecipazione dei dipendenti all’impresa. 

*Avvocato in Roma – Studio legale Maresca, Morrico, Boccia e Associati

image_pdfimage_print