Il procedimento disciplinare nel rapporto di lavoro privato

di Donatella Poggi * 

Nei rapporti di lavoro a carattere subordinato il datore di lavoro può esercitare il potere disciplinare al fine di sanzionare la condotta del lavoratore non improntata alla correttezza, alla diligenza e alla fedeltà richieste dalla natura della prestazione lavorativa, per la tutela della propria organizzazione aziendale.

La normativa di riferimento(1) prevede l’individuazione di una procedura “rigida”, alla cui inosservanza consegue l’invalidità insanabile della sanzione applicata. Grava sul datore di lavoro l’obbligo di pubblicità della normativa disciplinare, mediante la affissione permanente in luoghi liberamente accessibili ai lavoratori. Il codice deve essere predeterminato, ovvero definito precedentemente alla commissione dell’infrazione, e deve contenere sia la chiara individuazione delle fattispecie con le relative sanzioni che l’inserimento delle clausole procedurali applicabili. Sono ritenute sufficienti la recezione e l’esposizione da parte del datore di lavoro dello stralcio del CCNL relati vo alle procedure disciplinari in ogni singola unità aziendale. A scelta del datore di lavoro, il contenuto della contrattazione può essere integrato con l’emanazione di regolamenti interni aziendali, purché redatti in modo chiaro e resi noti ai lavoratori nelle medesime forme. E’ prassi diffusa consegnare al lavoratore al momento dell’assunzione la copia della documentazione predetta, ma tale forma alternativa di pubblicità non è considerata dalla giurisprudenza maggioritaria idonea a supplire la mancata affissione, non essendo ritenuti pienamente soddisfatti i requisiti dell’accessibilità e della permanenza(2).

Concretizzandosi in un vizio procedurale, la mancata affissione del codice invalida, insanabilmente, la sanzione disciplinare, poiché l’obiettivo di tale previsione va ricercata nella volontà di impedire ed inibire le valutazioni arbitrarie dei comportamenti dei lavoratori e le conseguenti adozioni di sanzioni inique. La giurisprudenza pone un’eccezione nei casi in cui la regola violata è espressione di un principio fondamentale dell’ordinamento di natura penale o di un essenziale dovere insito nel contratto di lavoro. In tali ultime ipotesi la legittimazione del potere disciplinare trae origine direttamente dal precetto normativo che non richiede di essere, per sua stessa natura, reso pubblico in altre ed ulteriori forme, alla luce della presunzione di conoscenza del- la norma. Ad eccezione del richiamo verbale, nessuna sanzione può essere legittimamente comminata senza la preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore attraverso l’invio di un atto formale richiesto in forma scritta ad substantiam. I requisiti di validità della con- testazione disciplinare sono la tempestività, la completezza e l’analiticità. Lo Statuto dei Lavoratori, infatti, tutela l’esigenza di garantire il diritto di difesa del lavoratore che deve esse- re informato dell’addebito con riferimento a fatti specifici e concreti( luogo, data ed ora, condotta sanzionabile, indicazione della presenza di altre persone ); ivi va quindi riportata l’esposizione chiara e puntuale degli aspetti salienti ed essenziali del fatto ricostruito nella sua materialità. La contestazione del fatto è un atto recettizio e deve essere comunicata al lavoratore con tempestività. Pur in assenza di un rigido termine entro cui muoverla(3) , il datore di lavoro è tenuto ad agire con sollecitudine, ovvero con ragionevole immediatezza, gravando sul medesimo l’obbligo di garantire al lavoratore un’efficace possibilità di replica. La valutazione circa la solerzia del datore di lavoro va effettuata con riguardo al momento in cui il medesimo ha avuto la piena conoscenza del fatto, almeno nei suoi tratti principali. In difetto di tempestività, è nulla la sanzione perché tardiva, con la conseguenza che le negligenze del lavoratore che nell’immediatezza dei fatti sono tollerate dal datore di lavoro non possono poi essere oggetto di successivi procedimenti disciplinari. Si verifica una forma di acquiescenza che impedisce a quest’ultimo l’eventuale successivo ripensamento. A tal proposito, nell’ottica di graduare corretta- mente la sanzione disciplinare, la normativa impone che solo i fatti oggetto di precedenti contestazioni disciplinari possono essere valutati per stabilire la gravità del comportamento del lavoratore. Nella lettera di contestazione il datore di lavoro deve esplicitare le recidive – generiche o specifiche- riferite al biennio precedente, affinché la negligenza del lavoratore possa essere giudicata tenendo conto anche di un arco temporale maggiore e in relazione ad infrazioni già commesse e regolarmente sanzionate. Il contenuto della contestazione è immutabile, non può quindi essere modificato nei suoi elementi essenziali in sede di applicazione della sanzione o, successivamente, nel corso della procedura di impugnazione.

Al fine di consentire l’effettività del diritto di difesa del lavoratore la normativa prescrive la necessità di inserire nel testo della lettera l’avviso al lavoratore del diritto di presentare nei successivi cinque giorni dal ricevimento della contestazione le difese scritte o, a sua scelta, di essere ascoltato a discolpa dal datore di lavoro, eventualmente anche con l’assistenza di un delegato sindacale. Ai fini probatori è consigliabile redigere un succinto verbale delle dichiarazioni rese dalle parti. Nel nostro sistema non è codificato l’obbligo per il lavoratore di rassegnare le proprie difese, né il datore di la- voro può rifiutarsi di convocare il lavoratore per l’audizione orale. La giurisprudenza considera ammissibile il cumulo di giustificazioni scritte ed orali, poiché il difetto di contraddittorio, considerato in evidente contrasto col principio di correttezza e di buona fede contrattuale, ha l’effetto di travolgere l’intero pro- cedimento disciplinare, invalidandolo.

Prima della decorrenza dei cinque giorni, non può essere legittimamente comminata la sanzione. Alcune contrattazioni collettive di settore individuano anche un termine massimo entro cui esaurire il procedimento disciplinare, a pena di nullità della sanzione, ritenuta irrimediabilmente tardiva. Nella scelta della sanzione da comminare il datore di lavoro è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità tra il fatto lesivo degli interessi datoriali e la gravità della sanzione. Le singole contrattazioni collettive di lavoro individuano di norma un’elencazione di violazioni cui corrisponde l’indicazione della sanzione correlata. E’ però corretto ritenere che ogni fatto vada valutato a sé, senza eccessive generalizzazioni, tenuto conto della peculiarità del contesto lavorativo e della posizione del singolo lavoratore: dalla lettura della casistica giurisprudenziale emerge l’importanza di considerare la natura e la qualità del rapporto di lavoro, il grado di affidamento e le responsabilità richieste dalle specifiche mansioni svolte, l’oggettiva entità della mancanza, l’intensità del dolo o la gravità della colpa del lavoratore, la presenza di recidive, la durata del rapporto di lavoro e , più in generale , qualsiasi circostanza che rende specifico il fatto oggetto di valutazione disciplinare. Nelle more del procedimento disciplinare, per gravi motivi e limitatamente al periodo necessario ad acquisire la certezza della sussistenza dei fatti addebitati, il lavoratore può essere sospeso dal servizio con salvezza della retribuzione, se non diversamente previsto dalla contrattazione collettiva di settore . Detto provvedimento non assume natura sanzionatoria ed è funzionale al corretto espletamento della procedura disciplinare. Il provvedimento disciplinare è l’atto scritto con cui si comunica al lavoratore la sanzione irrogatagli dal datore di lavoro, scelta nell’ambito di quelle indicate nella contrattazione collettiva di settore (richiamo scritto, multa, sospensione dal servizio e dalla retribuzione, e – nei casi di maggior gravità e di rottura del vincolo fiduciario licenziamento disciplinare) nel rispetto del principio di proporzionalità anzidetto e delle prescrizioni procedurali imposte dalla normativa e dall’interpretazione giurisprudenziale. Avverso il provvedimento disciplinare è consentito al lavoratore di ricorrere nei venti giorni successivi al collegio di conciliazione e arbitrato presso la Direzione Territoriale del Lavoro (DTL), ai sensi dell’art. 7 della legge 20 aggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori), ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria o di ricorrere alle eventuali specifiche procedure previste dai con- tratti collettivi di lavoro.

 

                                                                                                                                                                                                                 

 

1 Artt. 2014, 2015 e 2016 c.c. Legge 20.05.1970 n.300 e i singoli contratti collettivi nazionali di lavoro.

2 Vedasi Tribunale di Milano 2.9.2005.

3 Alcuni CCNL, anche dei settori della pubblica amministrazione, individuano un termine perento- rio e decadenziale ( 10 o 20 giorni dalla conoscenza del fatto.

* Ordine degli Avvocati di Biella

 

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