La conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro

di Rita Amati * 

L’art 1, comma 40 della legge n. 92/2012, modificando l’art 7 della legge n. 604/1966, avendo come obiettivo la deflazione del contenzioso in materia di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ha reintrodotto il tentativo di conciliazione obbligatorio innanzi alla Commissione provinciale di conciliazione istituita ex art 410.c.p.c.Rientrano nella sfera del nuovo art 7, tutti i datori di lavoro che in ciascuna sede, ufficio o reparto autonomo occupino alle proprie dipendenze più di 15 unità o più di 5 se imprenditori agricoli. Quindi capire quando è necessaria l’attivazione di tale procedura oc- corre tenere a mente i requisiti dimensionali del datore di lavoro.

Il secondo controllo per capire se attivare la procedura di cui al novellato art.7 è la tipologia della motivazione del licenziamento in quanto l’obbligatorietà della procedura riguarda solo quelli intimati per giustificato motivo oggettivo:

  • ipotesi di ristrutturazione di reparti , di soppressione del posto di lavoro, di terziarizzazione e di esternalizzazione di attività;
  • ipotesi legate alla inidoneità fisica del lavoratore che comportino la sopravvenuta impossibilità della prestazione;
  • ipotesi legate a provvedimenti amministrativi o giudiziari che rendono impossibile la prestazione (es. ritiro della patente di guida).

Non si ricomprende, nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo il licenziamento avvenuto per superamento del periodo di comporto ai sensi dell’art 2110 c.c la cui violazione trova una specifica tutela nell’ambito del riformulato art. 18 del- la legge n. 300/1970. Secondo la nuova interpretazione della legge 92/2012 lo spirito che anima la procedura di conciliazione è in sostanza quello di facilitare attraverso una fase di confronto tra datore di lavoro e lavoratore presso la Direzione territoriale del lavoro (DTL), l’individuazione di possibili soluzioni sia alternative al recesso che economiche.

Il datore di lavoro avente i requisiti dimensionali e che voglia procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è obbligato ad inviare una comunicazione scritta alla DTL del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa.

Non può non evidenziarsi come, a differenza della procedura ex art. 410, la Commissione di conciliazione presso la DTL è l’unica sede in cui è possibile esperire la procedura ed è composta dalle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative a livello territoriale e che, in via ordinaria, opera attraverso sottocommissioni composte da un rappresentante di par- te datoriale, da uno di parte sindacale e da un funzionario della DTL delegato dal proprio dirigente. La comunicazione scritta inviata dal datore di lavoro deve far riferimento non solo all’intenzione di procedere al licenziamento, ma contenere anche le motivazioni di tale decisione e le eventuali misure di assistenza finalizzate a una ricollocazione.

Queste informazioni sono di grande importanza, in quanto consentono al lavoratore di conoscere le cause effettive del licenziamento e alla Commissione di calibrare al meglio la proposta conciliativa. Anche le misure attivabili ai fini di una ricollocazione vanno indicate con una certa precisione in quanto possono facilitare la soluzione della controversia.

Come membro della Commissione di conciliazione della DTL di Terni posso confermare che quella dell’esame delle motivazioni addotte al licenziamento è una fase delicata e di fondamentale importanza sia per il datore che per il lavoratore in quanto a volte vengono fornite da parte della Commissione consulenze e suggerimenti che porta- no effettivamente a smaltire contenzioso sia perché spesso, ancora oggi, il datore di la- voro viene assistito, in alcuni casi solo accompagnato, da consulenti che non sono specializzati in diritto del lavoro, sia perché il lavoratore a volte non viene accompagnato né da un difensore né da un sindacato e rimane sguarnito da una possibile difesa dei suoi diritti di lavoratore.

Per quel che riguarda la individuazione delle misure alternative, di ricollocazione o di assistenza alla ricollocazione, va ricordato co- me la stessa Cassazione con la sentenza n.6625 del 23 marzo 2011, abbia confermato che non necessariamente debbano avere la caratteristica del lavoro subordinato, ben potendo l’offerta caratterizzarsi con una prospettiva di lavoro autonomo o in cooperativa.

I tempi del tentativo di conciliazione sono brevi, la DTL che ha ricevuto la nota dato- riale ha l’onere di convocare le parti avanti alla Commissione entri il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione dell’istanza. La nota con il giorno e l’ora della convocazione deve essere trasmessa con la massima celerità e va inviata con lettera raccomandata o attraverso posta elettronica certificata dell’azienda. Una volta pervenuta la richiesta va fatta subito indicando una data ravvicinata per l’incontro (infatti si ritiene che fissare la convocazione delle parti entro un limite temporale che vada oltre i 20 giorni dalla convocazione e quindi in un momento in cui il datore di lavoro sia legittimato in ogni caso al licenziamento significherebbe “nullificare la procedura conciliativa ). La carenza di comunicazione non è sanabile ed inficia sia la procedura che l’eventuale recesso a- dottato in violazione della stessa.

Una volta invitate le parti a presentarsi di fronte l’organo conciliativo l’assenza di una delle parti senza giustificazione produce la redazione di un verbale di assenza.

Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui siano iscritte o abbiano conferito mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Una nota particolare va fatta ai professioni- sti che assistono le parti ovvero ai consulenti del lavoro intendendosi per questi tutti colo- ro che sono abilitati alla professione o che avendo una abilitazione diversa hanno posto in essere le procedure di accredito ex legge n. 12/79.

Le parti possono delegare altre persone alla trattazione anche se si ritiene fondamentale che i soggetti interessati siano tutti presenti in quanto nel corso della discussione potrebbero emergere soluzioni alternative al licenziamento.

La procedura di conciliazione deve concludersi entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro e ciò sta a significare che il termine si calcola dalla data di convocazione e che all’interno dei 20 giorni vanno computati anche quelli necessari alla ricezione della lettera raccomandata; e che l’incontro debba essere ravvicinato per consentire alle parti un vero confronto.

E’ opportuno precisare che, se le parti lo reputino necessario per il raggiungimento di un accordo, il termine dei 20 giorni può es- sere superato. In questo caso la Commissione deve redigere un verbale di riunione interlocutorio e va detto che lo spostamento oltre i 20 giorni non ha effetto certo di accordo in quanto il risultato del tentativo di conciliazione può essere lo stesso concluso con una mancata conciliazione.

Da questo ultimo punto si comprende perfettamente come il Legislatore abbia puntato sull’effetto deflattivo del tentativo di conciliazione in quanto sia le parti possono continuare la discussione senza limiti di tempo che per le condizioni create alla partecipa- zione attiva della commissione (ovvero la commissione ha autorizzazione a mediare sia in ordine all’accordo che in merito all’indennità incentivante).La Commissione di conciliazione può anche individuare for- me alternative al recesso come ad esempio il ricorso al tempo parziale , il trasferimento, l’occupazione presso altro datore di lavoro, l’offerta di una collaborazione autonoma anche presso altri datori di lavoro fino ad arrivare al distacco temporaneo o all’attribuzione di altre mansioni.

L’importanza dell’esito della conciliazione è data anche dall’attività del giudice che, a seguito del fallimento del tentativo e del successivo ricorso giudiziale, tiene conto del comportamento complessivo delle parti e della proposta conciliativa avanzata dalla commissione di conciliazione.

Nel caso in cui la controversia non si conclude con un accordo, ci sarà la redazione di un verbale di mancato accordo che non può essere generico e privo di contenuti motivanti. Dal verbale si deve desumere il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa e devono emergere questioni sostanziali riferibili, ad esempio ad eccezioni sollevate dal lavoratore o alla assoluta indisponibilità a trovare una soluzione di natura economica alla controversia o ad accettare soluzioni alternative al recesso.

Il Legislatore afferma che “ il comportamento complessivo delle parti , desumibile anche dal verbale redatto in sede di Commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art 18 settimo comma, della legge n. 300/1970 e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile. 

Il mancato accordo legittima il datore di lavoro ad intimare il licenziamento che produrrà gli effetti dal momento in cui è stata effettuata la comunicazione ex art. 7, comma 1.

Nell’ipotesi in cui il tentativo di conciliazione si concluda positivamente la Commissione procede alla verbalizzazione dei contenuti che diventano inoppugnabili ex art 410 c.p.c. Nel caso, molto frequente, di risoluzione consensuale del rapporto, la commissione ne darà atto attraverso il verbale riportandone tutti i contenuti compresi quelli di natura economica. Quest’ultima possibilità della risoluzione consensuale è auspicata sia dal Legislatore e “gradita” dal datore di la- voro in quanto, derogando alla disciplina ordinaria permette al lavoratore il diritto di godimento dell’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI). Non si può neanche escludere che l’accordo, oltre a prevedere la risoluzione consensuale, possa contenere delle previsioni di carattere economico legate anche a differenze retributive, a lavoro straordinario o al trattamento di fine rapporto. Riguardo l’aspetto fiscale e limitatamente alle somme corrisposte come indennità risarcitoria, ai sensi dell’art 6 del D.P.R. n. 917/1986, le poste risarcitorie a titolo di danno emergente non vanno assoggettate a prelievo.

Come considerazione ultima: l’atto transattivo, inoppugnabile per i contenuti economici, non vincola in alcun modo gli organi di vigilanza circa un possibile riferimento contributivo delle somme corrisposte, nei limiti della prescrizione. La stessa Corte di Cassazione con sentenza n. 17485 del 28 luglio 2009 ha affermato che: sulle somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di transazione l’INPS è abilitato con qualsiasi mezzo che le somme riconosciute a titolo di liberalità sono correlate ad una voce riferita alla prestazione lavorativa.

* Ordine di Terni

image_pdfimage_print