La nuova direttiva UE in materia di distacco transnazionale

di Paolo Soro*

Si avvicina la scadenza del 30 luglio 2020, data in cui tutti i Paesi membri dovranno avere recepito le norme in tema di distacco transnazionale dei lavoratori, dettate dalla Direttiva UE 2018/957 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 giugno 2018, recante modifiche alla Direttiva 96/71/CE. A tal proposito, il 2 novembre scorso, è entrata in vigore la Legge dello Stato 117/2019 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2018), la quale, al primo comma dell’art. 1, stabilisce che il Governo è delegato ad adottare i decreti legislativi per l’attuazione – tra le altre – anche dell’anzidetta Direttiva UE 2018/957, entro il termine di recepimento citato (30/07/2020).

Prima, però, di riportare le nuove regole sul distacco stabilite dalla direttiva in parola, ricordiamo brevemente i principi generali su cui queste sono fondate.

Il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), in vigore dal 1° dicembre 2009, nel vietare ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro, afferma il diritto di:

  • circolare e soggiornare liberamente nel territorio dei Paesi membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi;
  • rispondere a offerte di lavoro effettive, spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri e prendere dimora in uno di questi al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali;
  • rimanere (alle condizioni prescritte dai vari regolamenti e direttive) sul territorio di uno Stato membro, dopo aver occupato un impiego.

A tale ultimo riguardo, più in dettaglio, i regolamenti e le direttive hanno il compito di:

  • assicurare una stretta collaborazione tra le amministrazioni nazionali del lavoro;
  • eliminare quelle procedure e pratiche amministrative, come anche i termini per l’accesso agli impieghi disponibili, il cui mantenimento sarebbe di ostacolo alla liberalizzazione dei movimenti dei lavoratori;
  • abolire tutti i termini e le altre restrizioni previste dalle legislazioni interne, che impongano ai lavoratori degli altri Stati membri, in ordine alla libera scelta di un lavoro, condizioni diverse da quelle stabilite per i lavoratori nazionali;
  • istituire meccanismi idonei a mettere in contatto le offerte e le domande di lavoro, e a facilitarne l’equilibrio, a condizioni che evitino di compromettere gravemente il tenore di vita e il livello dell’occupazione nelle diverse regioni e industrie.

Il Parlamento europeo e il Consiglio adottano in materia di sicurezza sociale le misure necessarie per l’instaurazione della libera circolazione dei lavoratori, attuando in particolare un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti (sia dipendenti, che autonomi), e ai loro aventi diritto:

  • il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni, che per il calcolo di queste;
  • il pagamento delle prestazioni alle persone residenti nei territori degli Stati membri.

Riassumendo, dunque, i principi fondamentali della normativa unionale che si applicano ai lavoratori che si spostano all’interno della Comunità sono i seguenti:

  • parità di trattamento, in base alla quale ciascuno Stato è tenuto ad assicurare ai cittadini degli altri Stati membri lo stesso trattamento e gli stessi benefici riservati ai propri cittadini;
  • mantenimento dei diritti e dei vantaggi acquisiti, e possibilità, quindi, di ottenere il pagamento delle prestazioni nel Paese di residenza, anche se a carico di un altro Stato (c.d. esportabilità delle prestazioni);
  • totalizzazione dei periodi di assicurazione e contribuzione, grazie alla quale i periodi assicurativi maturati nei vari Stati si cumulano, se non sovrapposti, nel rispetto e nei limiti delle singole legislazioni nazionali, al fine di consentire il perfezionamento dei requisiti richiesti per il diritto alle prestazioni;
  • unicità della legislazione applicabile.

Da questa doverosa premessa, consegue che la parità di trattamento dei lavoratori è il tema ispiratore della direttiva europea. L’obiettivo dichiarato è quello di combattere e arginare il fenomeno del dumping salariale e sociale per ritrovare un equilibrio tra le norme che regolano retribuzioni e tutele dei lavoratori in tutta l’Unione (nonché nei Paesi SEE e nella Svizzera).

Ma vediamo, ora, più nello specifico cosa prevede la nuova Direttiva UE 2018/957.

Innanzitutto, fermi e impregiudicati il diritto o la libertà di sciopero, nonché il diritto di negoziare, concludere ed eseguire accordi collettivi in conformità alla normativa nazionale, l’articolo 1 della direttiva garantisce la protezione dei lavoratori distaccati durante il loro distacco in relazione alla libera prestazione dei servizi, stabilendo disposizioni obbligatorie riguardanti le condizioni di lavoro e la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori che devono essere rispettate. Per le retribuzioni si dovrà sempre fare riferimento al Paese di destinazione; mentre, per il versamento dei contributi, allo Stato di origine; posto che, come noto, durante il distacco il lavoratore rimane ufficialmente alle dipendenze del datore di lavoro distaccante.

Un’altra novità concerne l’ampliamento dell’ambito di applicazione della disciplina anche alle agenzie di somministrazione che decidono di distaccare un lavoratore presso un’impresa utilizzatrice, avente la sede o un centro di attività nel territorio di uno Stato membro.

“Nel caso in cui un lavoratore, che sia stato fornito da un’impresa di lavoro temporaneo o da un’impresa che effettua cessioni temporanee presso un’impresa utilizzatrice, sia chiamato, dall’impresa utilizzatrice, a svolgere un lavoro nel quadro di una prestazione di servizi transnazionale, nel territorio di uno Stato membro diverso da quello in cui il lavoratore abitualmente lavora per l’impresa  di  lavoro  temporaneo  o per l’impresa che effettua cessioni temporanee, oppure per l’impresa utilizzatrice, il lavoratore è considerato distaccato nel territorio di tale Stato membro dall’impresa di lavoro temporaneo o dall’impresa che effettua la fornitura con la quale sussiste un rapporto di lavoro. L’impresa utilizzatrice informa a tempo debito l’impresa di lavoro temporaneo o l’impresa che ha effettuato la fornitura di un lavoratore prima dell’inizio del lavoro”.

In base, poi, a quanto previsto dalla legislazione nazionale e/o dai contratti collettivi vigenti nel singolo Paese membro, le imprese di tutti gli Stati devono garantire (indipendentemente dalla normativa specificatamente applicabile al rapporto di lavoro) ai lavoratori distaccati nel proprio territorio, parità di trattamento e di condizioni di lavoro e occupazione, con riguardo a:

  • periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo;
  • durata minima dei congedi annuali retribuiti;
  • retribuzione, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario;
  • condizioni di fornitura dei lavoratori, con particolare riferimento alle sopra richiamate imprese di lavoro temporaneo;
  • sicurezza, salute e igiene sul lavoro;
  • provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani;
  • parità di trattamento fra uomo e donna, nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione;
  • condizioni di alloggio dei lavoratori, qualora questo sia fornito dal datore di lavoro ai lavoratori lontani dal loro abituale luogo di lavoro (in proposito si richiama l’attenzione del lettore sulle situazioni disciplinate dall’art 603-bis, Codice Penale);
  •  indennità o rimborso a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali (con riguardo ai costi sostenuti dai lavoratori distaccati “pendolari”).

Al fine di prevenire possibili contenziosi di carattere interpretativo, la direttiva precisa anche il concetto di retribuzione, la quale è da intendersi come pari a quella determinata dalla normativa e/o dalle prassi nazionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato; fermo restando che devono altresì considerarsi ricompresi tutti gli elementi costitutivi della retribuzione resi obbligatori da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali, da contratti collettivi o da arbitrati che sono stati dichiarati di applicazione generale nello Stato membro in questione.

Le informazioni relative devono essere pubblicate dagli Stati membri sul sito web ufficiale, senza indebito ritardo e in maniera trasparente; nonché risultare esatte e costantemente aggiornate. I siti web dei singoli Paesi membri sono, a loro volta, indicati  nel portale della Commissione. In caso di violazioni da parte delle imprese, le correlate sanzioni sono rimodulate in diminuzione, laddove le anzidette pubblicazioni non siano state eseguite, o aggiornate, o risultino comunque inesatte.

La direttiva passa, poi, a dettare quella che risulta essere la principale variazione normativa introdotta, avuto riguardo all’immediato impatto che ne deriverà da un punto di vista prettamente operativo. La durata del distacco – di fatto – viene modificata, posto che, trascorso un determinato tempo limite, i lavoratori distaccati saranno sostanzialmente considerati come lavoratori del luogo in cui prestano servizio.

È notorio che, attualmente, la durata massima del distacco è fissata, salvo particolari eccezioni, in 24 mesi (articolo 12, paragrafo 1, Regolamento CE 883/2004). Come pure è risaputo che esistono non poche situazioni nelle quali i distacchi possono perdurare anche più di 2 anni. Ebbene, a decorrere dal 30/07/2020 (data di entrata in vigore della Direttiva UE 2018/957), la durata ordinaria del distacco viene diminuita a 12 mesi. Qualora, però, il prestatore di servizi presenti una notifica motivata, lo Stato membro interessato estende il periodo da 12 a 18 mesi. Onde evitare un uso distorto della previsione normativa, la direttiva ribadisce che, se un’impresa sostituisce un lavoratore distaccato con un altro lavoratore distaccato che espleta le stesse mansioni nello stesso luogo, la durata complessiva del distacco resta immutata; ossia, deve comunque corrispondere alla sommatoria dei periodi di distacco dei singoli lavoratori interessati. Quanto al concetto di “stesse mansioni, nello stesso luogo”, questo è determinato tenendo in considerazione, tra l’altro, la natura del servizio da prestare, il lavoro da effettuare e l’indirizzo o gli indirizzi del luogo di lavoro. Ma cosa succede a un lavoratore distaccato se le appena precisate scadenze vengono superate?

Ricordiamo che, sempre in base al menzionato Regolamento CE 883/2004, se, per cause impreviste, il distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi dura più del previsto, l’ente assicuratore dello Stato membro (Stato di invio) in cui il lavoratore era soggetto inizialmente al sistema di sicurezza sociale, può di regola prolungare l’autorizzazione concessa per una durata massima di 60 mesi (articolo 16, paragrafo 1, Regolamento cit.). Cionondimeno, dati i limiti imposti dalla direttiva, qualora la durata effettiva di un distacco superi 12 mesi, gli Stati membri provvedono affinché, indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro, le imprese distaccanti garantiscano, sulla base della parità di trattamento, ai lavoratori che sono distaccati nel loro territorio (oltre alle condizioni di lavoro e di occupazione prima elencate), in generale tutte le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, stabilite da disposizioni legislative, regolamentari, amministrative e/o da contratti o altri accordi collettivi comunque applicabili. Restano escluse solo le procedure, le formalità e le condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto, le clausole di non concorrenza e i regimi pensionistici integrativi di categoria. Da ciò ne consegue che, dopo 12 mesi, al lavoratore distaccato dovrà ritenersi applicabile altresì la normativa in tema di contributi da lavoro dello Stato membro distaccatario, e non più quella dello Stato membro di invio.

Ai professionisti che seguono operazioni di distacco transnazionale non resta, dunque, che vedere in che modo le varie legislazioni di interesse daranno esecuzione a tali disposizioni, auspicando (tanto per cambiare) norme attuative e circolari interpretative sufficientemente chiare.

Sempre in ottica pratica, appare particolarmente rilevante la seguente ulteriore precisazione riportata nella direttiva. Ferma restando la possibilità di applicare condizioni di lavoro e occupazione che siano migliorative per i lavoratori:

“Le indennità specifiche per il distacco sono considerate parte della retribuzione, purché non siano versate a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute a causa del distacco, come le spese di viaggio, vitto e  alloggio.  Il  datore  di  lavoro  provvede  a rimborsare tali spese al lavoratore distaccato, in conformità della normativa e/o delle prassi nazionali applicabili al rapporto di lavoro. Qualora le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili al rapporto di lavoro non determinino se elementi dell’indennità specifica per il distacco sono versati a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute a causa del distacco o se fanno parte della retribuzione e, nel caso, quali siano detti elementi, l’intera indennità è considerata versata a titolo di rimborso spese.”

La citata specificazione dovrebbe consentire di evitare potenziali contenziosi in materia di imponibilità fiscale, come quelli che ci è capitato più volte di affrontare in occasione di taluni accertamenti effettuati dall’Agenzia delle Entrate.

Analogamente di interesse appare, altresì, quella regola che lascia liberi gli Stati membri di avvalersi dei contratti collettivi, purché sia assicurata la parità di trattamento. Segnaliamo tale previsione poiché, espressamente, la direttiva parla di:

  • contratti collettivi in genere applicabili a tutte le imprese simili nell’ambito territoriale e nella categoria interessata
  • e/o
  • contratti collettivi conclusi dalle organizzazioni delle parti sociali più rappresentative sul piano nazionale e che sono applicati in tutto il territorio nazionale.

Conosciamo bene le nostre problematiche interne in merito al concetto di rappresentatività sindacale nazionale. Orbene, il Legislatore comunitario, usando la doppia congiunzione copulativa e disgiuntiva “e/o”, chiaramente, non pone alcun obbligo di applicare esclusivamente le regole indicate nei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale; bensì consente anche di adottare le regole fissate nei contratti applicabili a livello territoriale e categoriale, col solo limite di rispettare la parità di trattamento fra i lavoratori.

Detta parità di trattamento, inoltre, si riflette necessariamente anche fra le stesse imprese interessate, al fine di conseguire il dichiarato obiettivo di evitare situazioni di dumping salariale o comunque particolari fattispecie di concorrenza sleale:

“Si considera che vi sia parità di trattamento, quando le imprese nazionali che si trovano in una situazione analoga:

  • sono soggette, nel luogo o nel settore in cui svolgono la loro attività, ai medesimi obblighi per quanto attiene alle materie superiormente elencate, e, se del caso, con riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione che devono essere assicurate ai lavoratori distaccati
  • e (qui la congiunzione è solo quella copulativa – d.R.)
  • sono soggette ai medesimi obblighi aventi i medesimi effetti”.

 

Tutto quanto precede, fermo restando che niente osta al fatto che gli Stati membri, nel rispetto dei trattati, applichino alle imprese nazionali e a quelle di altri Stati membri (sulla base della parità di trattamento) condizioni di lavoro e di occupazione, riguardanti materie diverse da quelle contemplate, laddove però si tratti di disposizioni di ordine pubblico.

In merito all’esplicarsi dell’attività di controllo afferente le disposizioni dettate, la direttiva richiama le autorità dei singoli Paesi membri a collaborare fra di loro. In particolare, rispondere reciprocamente alle richieste motivate di informazioni, per combattere abusi evidenti o presunti casi di attività transnazionali illegali, quali i casi transfrontalieri di lavoro non dichiarato e lavoro autonomo fittizio, legati a contratti di distacco dei lavoratori. Qualora la specifica autorità interessata non sia in possesso delle informazioni richieste, occorre sollecitare l’ottenimento delle informazioni anche presso altre autorità. In caso di ritardi persistenti nella trasmissione delle informazioni, la Commissione ne è portata a conoscenza e adotta immediatamente ogni misura adeguata.

Lo Stato membro nel cui territorio il lavoratore è distaccato e lo Stato membro a partire dal quale il lavoratore è distaccato, sono entrambi responsabili del monitoraggio, del controllo, dell’esecuzione e degli obblighi previsti dalla direttiva, ed emanano prontamente tutti gli opportuni correttivi di legge, nelle ipotesi di inosservanza delle norme stabilite dalla direttiva, prevedendo le correlate sanzioni da applicare, le quali dovranno risultare effettive, proporzionate e dissuasive.

In sostanza, qualora sia accertato che un’impresa, in modo scorretto o fraudolento, simuli che la situazione di un lavoratore rientri nell’ambito di applicazione della direttiva (rectius, il lavoratore interessato sia soggetto a condizioni meno favorevoli rispetto agli altri), lo Stato membro dovrà comunque applicare la normativa e la prassi pertinenti, indipendentemente da quanto risulta contrattualmente pattuito fra le parti. Come già più volte ricordato, la direttiva impone agli Stati membri l’obbligo di emanare e pubblicare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a quanto stabilito dalla direttiva, entro il 30 luglio 2020. Tali disposizioni dovranno, pertanto, trovare pratica applicazione a decorrere dalla medesima data; nonché essere immediatamente comunicate alla Commissione.

Dopo di che, entro il 30 luglio 2023, la Commissione presenterà al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo, una relazione sull’applicazione e attuazione della direttiva nei vari Paesi, proponendo, se del caso, le necessarie modifiche.

Tutto ciò evidenziato, pare finanche ovvio rammentare che le altre disposizioni dettate dalla vigente Direttiva 96/71/CE, che non risultano espressamente modificate dalla – nuova – Direttiva UE 2018/957 (come qui sopra riportate), continuano ad avere regolare applicazione pratica.

In conclusione, giusto per dare uno sguardo fuori di “casa nostra”, sulla base delle notizie che possono essere recuperate nel portale istituzionale della Commissione, parrebbe che solo la Francia abbia già recepito la nuova direttiva, con ordinanza n. 2019-116 del 20 febbraio 2019, pubblicata sul Journal Officiel de la République Française (JORF) del 21.02.2019, le cui disposizioni entreranno in vigore fin dal 20 luglio 2019. Ufficialmente, non risultano approvate e pubblicate nel sito in questione, altre misure nazionali di recepimento. Peraltro, ciò non significa che altri Paesi non abbiano già provveduto. Per esempio, nel sito in questione appare solo il provvedimento francese, non essendo stato ancora pubblicato neppure quello italiano.

È da dire, poi, che il provvedimento transalpino risulta  essere  già di per  sé definitivo, contenendo le concrete norme attuative. Viceversa, la nostra attuale legge di delegazione, per quanto concerne le regole operative (come indicato nell’incipit), si limita a rinviare detto compito ai decreti di attuazione che dovranno essere emanati dal Governo entro la prefissata scadenza del 30/07/2020.

Sempre da un punto di vista pratico, giova infine ricordare che, a differenza dei regolamenti, le direttive non sono immediatamente applicabili, ma necessitano– appunto – di essere specificatamente recepite dalle legislazioni interne.

* Odcec Roma

 

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