LA PRIVACY E L’ACCESSO AGLI ATTI DEI CONSIGLIERI COMUNALI

di Stefano Bacchiocchi*

Ai professionisti che si occupano della materia giuslavoristica per le amministrazioni pubbliche capita spesso di dover rispondere a richieste di accesso agli atti da parte di vari soggetti: si pensi alle assunzioni, ai licenziamenti, agli inquadramenti, ai calcoli retributivi, ecc.Nel presente articolo proveremo ad esaminare gli aspetti critici di questi “accessi agli atti” da parte di una categoria particolare di soggetti, vale a dire i consiglieri comunali. In questa disamina affronteremo quanto relativo alla normativa privacy, cercando di coordinarla con le altre normative che regolano la materia, una su tutte la normativa sulla trasparenza e l’art.43 del decreto legislativo n. 267/2000 che ribadisce le competenze ed i limiti della figura di “consigliere comunale”.

Per cominciare, i cosiddetti “diritto di accesso” e “diritto di informazione” dei consiglieri comunali in ordine agli atti in possesso dell’Amministrazione comunale si configurano come il diritto di ottenere dagli uffici del comune, nonché dalle aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso utili all’espletamento del proprio mandato. Va subito precisato che, per ogni richiesta di accesso agli atti, la decisione spetta agli organi e soggetti competenti del comune: quindi i nostri uffici saranno chiamati a rispondere solo se interpellati direttamente dal Comune (e mai in via autonoma alle eventuali richieste ricevute da parte di altri soggetti).

Fatta questa doverosa premessa, riteniamo che il diritto dei consiglieri comunali, siano essi di minoranza o maggioranza, abbia una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto alla generalità dei cittadini (ovvero a chiunque sia portatore di un “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”). In genere, gli unici limiti previsti all’accesso dei consiglieri sono correlati ad un eventuale abuso del diritto all’informazione (richieste assolutamente  generiche, meramente emulative o non ragionevoli, strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa, ecc.).

Infatti, i consiglieri godono di una facoltà di accesso agli atti ampissima che conosce pochi limiti, tra i quali il caso in cui il consigliere agisca per interesse personale (ipotesi, naturalmente, che va adeguatamente dimostrata).

Come detto, in linea di principio, il diritto di accesso del consigliere comunale è ampio e non può essere compresso neppure per esigenze di tutela di riservatezza dei terzi, per via dei dati personali eventualmente contenuti nei documenti oggetto di accesso: il consigliere ha, infatti, diritto di accesso a quegli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle sue funzioni e ai fini dell’esercizio del suo mandato.

Inoltre, in linea meramente generale, il diritto del consigliere comunale non deve essere soggetto ad onere motivazionale.

Si riporta, tuttavia, un estratto delle Linee Guida ANAC n. 1309/2016, c.d. FOIA, par. 7.6 che ne delimita la discrezionalità: «Con riferimento alle possibili sovrapposizioni con l’esercizio dell’attività giudiziaria, occorre chiarire che l’accesso generalizzato riguarda atti, dati e informazioni che siano riconducibili a un’attività amministrativa, in senso oggettivo e funzionale. Esulano, pertanto, dall’accesso generalizzato gli atti giudiziari, cioè gli atti processuali o quelli che siano espressione della funzione giurisdizionale, ancorché non immediatamente collegati a provvedimenti che siano espressione dello “ius dicere”, purché intimamente e strumentalmente connessi a questi ultimi».

A questo proposito, ci preme di nuovo sottolineare che il consigliere comunale ha diritto d’accesso (ampio) agli atti, solo quando tale richiesta sia a tutela degli interessi pubblici (e non di interessi privati e personali); pur non potendo esercitare un controllo estrinseco di congruità tra la richiesta d’accesso e l’espletamento del mandato, ritengo che l’Amministrazione possa, in linea di principio, rifiutarsi di dar seguito a richieste d’accesso manifestamente incongruenti con l’esercizio delle funzioni. Proprio in virtù di quest’ultimo aspetto, un limite al diritto d’accesso dei consiglieri comunali è rappresentato dal fatto di dover comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali attraverso modalità che ragionevolmente sono fissate nel regolamento dell’ente; inoltre, come scritto, l’accesso non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche, ovvero meramente emulative: questo assunto è coerente anche con quanto previsto dal GDPR (e normativa privacy vigente) il quale prevede che qualsiasi trattamento di dati debba essere sottoposto ai principi generali di ragionevolezza, proporzionalità, ecc.

Anche se teoricamente non è possibile limitare il diritto di accesso per questioni relative alla sola riservatezza dei dati, è indubbio che il Regolamento (UE) 2016/679 per particolari dati (quelli, per esempio, riferiti ai procedimenti giudiziari) impone specifiche cautele: infatti l’accesso a tale genere di dati (sensibili, giudiziari ecc.) potrebbe determinare un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà del soggetto e di eventuali controinteressati, con possibili ripercussioni negative sul piano personale e sociale; quindi può essere giustificabile porre una maggiore attenzione alle modalità di accesso agli atti che contengano queste categorie di dati.

In sintesi, il diritto di accesso dei consiglieri comunali, anche se ampio, non è un potere assoluto,    dovendo    essere    contemperato con le esigenze dell’Ente, in modo da non comprometterne la funzionalità in materia di privacy e protezione dei dati (soprattutto se particolari, giudiziari, ex- sensibili, ecc.). Qualora si ritenga che le richieste di accesso abbiano i caratteri giuridicamente patologici accennati, sempre coordinandosi con l’amministrazione pubblica, si può ritenere legittimo valutare il diniego di accesso documentale. 

In particolare, si rileva che consentire un accesso illimitato ed indiscriminato ai consiglieri, avulso da ogni relazione effettiva con i poteri di sindacato propri, senza distinzioni tra ragioni di pubblico e di privato (in considerazione del ruolo rivestito), porterebbe a non ottemperare alle logiche del nuovo regolamento privacy (GDPR) ancorché bilanciato con le norme che regolano la “trasparenza” dell’Ente.

Con specifico riferimento ai dati personali particolari, giudiziari (ex-sensibili e simili) eventualmente contenuti nei documenti oggetto di accesso, si sottolinea che il consigliere comunale è tenuto al segreto secondo la normativa vigente: in caso di violazione si ritiene possa essere eventualmente chiamato a risponderne personalmente in sede civile e penale.

Alla luce di queste considerazioni, possiamo fornire un protocollo operativo pratico, con queste indicazioni.

In primo luogo, per ogni richiesta che provenga direttamente dai consiglieri comunali, bisognerà rimettere (celermente) ogni decisione alla pubblica amministrazione che provvederà ad accogliere, rifiutare o limitare l’accesso ai dati.

In secondo luogo, è necessario rispondere alla richiesta in maniera estremamente puntuale, evitando di consegnare dati eccessivi e/o irragionevoli rispetto alla richiesta avanzata.

Infine, sempre riguardo all’adeguatezza dei dati oggetto della risposta, sarà opportuno oscurare e/o cifrare (pseudonimizzazione) quei dati non necessari alla risposta.

Come già affermato, per i consiglieri comunali la normativa privacy è in qualche modo subordinata al diritto all’informazione di cui tali soggetti godono, anche perché già sottoposti per legge al segreto d’ufficio.

In altre parole, se questa richiesta fosse avanzata da un soggetto diverso dai consiglieri comunali (per esempio, un soggetto privato interessato) avremmo ogni diritto di oscurare tutti i dati che non siano strettamente correlati alla richiesta di accesso. Invece, nel caso dei consiglieri, dovremo rispondere avendo la sensibilità di non limitare questo diritto all’informazione, cosa peraltro assolutamente non facile.

Anche su quest’ultimo aspetto riteniamo sia necessaria, specialmente per gli studi che si occupano di “paghe e contributi”, una figura quasi obbligatoria quando si tratta di lavorare per e con l’amministrazione pubblica: il responsabile della protezione dei dati (DPO in inglese) che è la figura preposta, per legge, a rispondere a quesiti di questo genere; ed è a tale figura, se nominata, che gli interessati dovranno rivolgere le richieste di accesso ai dati.

Sulla base di ciò è consigliabile la nomina di un responsabile specializzato a cui demandare ogni questione in materia di privacy, nonché le informative, i registri, la formazione dei dipendenti ecc.; al suo vaglio andrebbero ovviamente anche gli eventuali accessi agli atti che provengano da soggetti sia pubblici che privati, in modo da avere la ragionevole certezza di non incorrere in pesantissime sanzioni che sono purtroppo sempre in agguato per questo tipo di attività.

*Odcec Brescia

 

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