Pensare positivo può favorire la ripresa

di Maurizio Centra*

L’anno che è appena terminato doveva essere per l’Italia quello della riforma costituzionale, oltre che della ripresa economica, mentre probabilmente passerà alla storia per essere stato quello dell’ennesima “occasione perduta”. Chi ha avuto modo di ascoltare anche solo alcuni dei dibattiti pubblici sulla riforma costituzionale si è reso conto che gli interlocutori non sono quasi mai entrati nel merito della riforma, ma si sono soffermati su aspetti marginali, anche se di grande impatto mediatico, ovvero hanno criticato tout court l’azione di governo, in pratica hanno trattato argomenti diversi da quello della riforma. Io non so dire se la riforma bocciata dagli elettori avrebbe migliorato la nostra Costituzione, ma non credo proprio che l’avrebbe peggiorata.
Poiché sono molti anni che esercito puntualmente e senza pregiudizi il mio diritto di voto, usando le parole di Lucio Dalla potrei dire “ogni estate do il mio voto e vado al mare…”, sono rimasto amareggiato dal fatto che un argomento così importante sia stato trattato, soprattutto dai politici, alla stessa stregua del concorso Miss Muretto di Alassio, con tutto il rispetto per i concorsi di bellezza, che hanno consentito anche di “scoprire” dei talenti naturali. L’argomento della modifica costituzionale, come quello della ripresa economica, non può essere ridotto ad un “mi piace”, occorre entrare nel merito, valutare il contesto nel quale la norma esistente è stata concepita, leggere in modo comparato le norme (quella esistente e quella modificata), capire lo scopo e le conseguenze del cambiamento, solo per fare alcuni esempi.
Allo scopo di decidere consapevolmente il cittadino medio avrebbe dovuto avere un aiuto dagli esperti, che spesso sono però criptici, e soprattutto dai politici, i quali, è appena il caso di ricordarlo, dovrebbero avere come obiettivo della loro azione il bene comune e possedere, rispetto allo stesso cittadino medio, competenze specifiche e migliore conoscenza del Sistema Paese. In realtà il contributo dei politici, in questa come in altre occasioni, ha prodotto il caos, sotto forma di disordine totale, di liti furibonde davanti alle telecamere, di tutti contro tutti da far impallidire le partitelle tra ragazzini delle elementari. In un paese che negli ultimi undici anni è regredito economicamente, come dimostra l’andamento del Prodotto interno lordo (Pil), e che dagli anni ’80 del secolo scorso rinvia le necessarie ancorché dolorose riforme strutturali, il comportamento dei politici si è rivelato del tutto inadeguato, se non ha addirittura confuso l’elettore.
Quanto è accaduto in occasione del referendum sulla riforma costituzionale, al di là dell’esito, è paradigmatico. In pratica i politici hanno confermato di non saper interpretare le esigenze né comprendere le paure dei cittadini, i quali, a loro volta, hanno espresso il proprio malumore con il voto negativo su un argomento apparentemente non fondamentale per la vita di tutti i giorni, mentre invece lo è, ma non solo, i cittadini hanno anche confermato di voler cambiare a condizione che tutto resti come prima o, al massimo, che siano gli altri a pagare il prezzo del cambiamento.

Viste le condizioni generali del Paese, il miglioramento istituzionale e la ripresa economica dovrebbero essere l’obiettivo di tutti gli italiani, nessuno escluso od eccettuato, sia di quelli che avrebbero dovuto e potuto fare qualcosa a tempo debito e non l’hanno fatto sia di quelli che pagheranno, nel vero senso del termine, le conseguenza di errori dei loro antenati, compresi quelli dei politici incapaci. Il miglioramento per essere attuato però impone anche di pensare positivo perché l’impegno non basta, soprattutto quando il tempo a disposizione è poco e le responsabilità di talune fasce della popolazione nei confronti di altre sono notevoli. Basti pensare al futuro della Millennial Generation italiana, composta da coloro che sono nati tra i primi anni ‘80 e i primi anni 2000, che oltre a dover spesso emigrare all’estero dopo la laurea, come hanno fatto i loro bisnonni semi analfabeti, sono anche la prima classe ad avere un’aspettativa reddituale e previdenziale inferiore a quella dei loro padri.
Prendere atto che ci troviamo in un periodo buio è utile ma non è sufficiente a cambiare le cose e, nella consapevolezza che “mai nessuna notte è tanto lunga da non permettere al sole di sorgere” (Paulo Coelho), è indispensabile che ognuno faccia quello che è in suo potere.
Dopo anni di rinvii o provvedimenti “timidi”, finalmente l’Italia ha avviato un processo riformatore che adesso andrebbe completato e perfezionato, non certo interrotto. Certamente non tutti i provvedimenti adottati negli ultimi tempi sono i migliori possibili né la panacea di tutti mali del nostro martoriato Paese, ma certo possono rappresentare concretamente l’avvio del necessario processo di miglioramento. La riforma del lavoro (c.d. Jobs Act), ad esempio, ha riordinato ed aggiornato la normativa mediante una serie di interventi mirati come la riduzione dei modelli contrattuali e la valorizzazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, la semplificazione dei contratti di lavoro a tempo determinato e di somministrazione, la tutela dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo (es. discriminatorio) salvaguardando nel contempo il diritto di recesso del datore di lavoro per ragioni economiche e la previsione di nuovi strumenti per le politiche attive del lavoro.
In merito alle politiche attive del lavoro ed all’incremento dell’occupazione occorre ricordare che non sono certo le modifiche normative, per quanto possano essere ben fatte, a creare nuove opportunità di lavoro. Il lavoro, anche nell’era digitale o dell’industria 4.0, è funzione dell’andamento economico generale, quindi se l’economia del Paese è in crisi, ossia il Pil è negativo o di poco superiore allo zero, è molto difficile che i datori di lavoro abbiano la necessità di aumentare gli organici, semmai il contrario. Negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso non esistevano le politiche attive del lavoro ma la perdita del posto di lavoro era un evento tutt’altro che traumatico, perché il lavoratore trovava un impiego alternativo nell’arco di alcune settimane, salvo rari casi. In quel periodo però l’economia italiana cresceva a ritmi elevati e l’abitudine a pensare positivo era diffusa tra i cittadini e gli imprenditori. Oggi le cose sono indubbiamente diverse, ma l’esperienza passata ed i principi economici ci indicano alcune strade da percorrere per far crescere l’economia e con essa l’occupazione.
Se per il miglioramento istituzionale e la ripresa economica occorre il contributo di tutti è altrettanto vero che i ruoli e le responsabilità di ciascuno sono diversi, le riforme di legge come la definizione ed attuazione della politica economica nazionale spettano agli organi preposti (parlamento e governo), il compito degli imprenditori è quello di esercitare le proprie attività nel rispetto delle norme e secondo principi etici, ai lavoratori è chiesta lealtà e diligenza nello svolgimento dei compiti e/o delle funzioni assegnate loro, mentre la responsabilità di tutti i cittadini è quella di contribuire al progresso della nazione con comportamenti corretti ed in linea con i ruoli ricoperti.
Il successo di ogni iniziativa collettiva non può prescindere dall’atteggiamento con il quale i singoli interpretano il proprio ruolo, per questo è importante il pensiero positivo, intendendo per tale l’attitudine mentale secondo cui ci si attendono risultati favorevoli. Il pensiero positivo è, in poche parole, un processo di creazione di pensieri positivi in grado di trasformare l’energia positiva in realtà. Ovviamente non basa imporsi di pensare positivo per riuscirci, occorre saper cogliere da ogni evento della vita quegli elementi che hanno condotto ad esiti favorevoli in passato, anche per altri soggetti, o che ragionevolmente lo faranno in futuro. Solo per fare degli esempi, pensare positivo significa salvaguardare la natura, non fare scelte i cui costi si riverseranno sulle generazioni future, non aver paura di cambiare attività lavorativa dopo i cinquant’anni, recuperare e non sprecare i beni disponibili, non prendere decisioni che producano vantaggi a pochi e danni a molti.
Per quanto possa sembrare strano, pensare positivo può favorire la ripresa economica perché riduce i tempi tra l’ideazione di una nuova iniziativa o prodotto e la sua attuazione o commercializzazione (time to market), stimola i consumi privati, favorisce le iniziative ed i lavori in comune, stimola la creatività e la sperimentazione, riduce le paure degli insuccessi, evita i protezionismi e fa pagare le parcelle dei Commercialisti!

* ODCEC Roma

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