IL VALORE ECONOMICO DELLA DIVERSITA’ NEI LUOGHI DI LAVORO: PERCHE’ CONVIENE (DAVVERO) INVESTIRE NELL’INCLUSIONE
di Ivana De Michele*
Quando la pluralità diventa motore di innovazione, crescita economica e sviluppo sociale nei luoghi di lavoro
Non dimenticherò mai una conversazione con una giovane imprenditrice che, alla fine di un nostro incontro, mi disse: “Pensavo che inserire donne in ruoli chiave fosse una scelta etica. Poi ho scoperto che è anche la decisione più intelligente che abbia mai preso per far crescere la mia azienda.”
In quel momento ho capito che il valore della diversità non si misura solo in termini morali, ma anche in termini concreti di competitività, redditività e visione strategica. Da commercialista e da professionista impegnata sui temi delle pari opportunità, lo vedo ogni giorno: le aziende più inclusive sono quelle che crescono meglio e durano di più.
Per anni il dibattito sulla diversità è stato relegato alla sfera del “dover essere”. Ma nel mondo postpandemico, dove i modelli lavorativi stanno cambiando rapidamente e le sfide globali richiedono
visioni nuove, la diversità è diventata un asset strategico. Non si tratta più di rispettare una percentuale, ma di capitalizzare l’intelligenza collettiva. E farlo genera risultati.
Nel dicembre 2023, McKinsey ha pubblicato il quarto report della serie “Diversity Matters”, basato su un dataset ampliato che include 1.265 aziende in 23 paesi.
I risultati mostrano che la correlazione tra diversità e performance finanziaria è più forte che mai:
- Le aziende nel top quartile per diversità di genere nei team esecutivi hanno una probabilità del 39% maggiore di superare i concorrenti in termini di redditività.
- Lo stesso vale per la diversità etnica nei team esecutivi, con un aumento del 39% nella probabilità di outperforming.
- Le aziende con oltre il 30% di donne nei team esecutivi mostrano una performance finanziaria significativamente superiore rispetto a quelle con una rappresentanza inferiore.
- Per la prima volta, è stata osservata una correlazione statisticamente significativa tra diversità nei consigli di amministrazione e performance finanziaria: le aziende nel top quartile per diversità di genere nei board hanno una probabilità del 27% maggiore di ottenere risultati finanziari superiori.
Inoltre, la mancanza di diversità sta diventando sempre più penalizzante: le aziende nel bottom quartile per entrambe le metriche (genere ed etnia) hanno una probabilità del 66% inferiore di ottenere performance superiori rispetto ai concorrenti.
Il report McKinsey-LeanIn del 2024 evidenzia che le donne rappresentano ora il 29% dei ruoli C-suite, rispetto al 17% del 2015. Tuttavia, persistono ostacoli significativi:
- Il cosiddetto “broken rung” rimane il principale ostacolo: per ogni 100 uomini promossi da entrylevel a manager, solo 81 donne ricevono la stessa promozione, e solo 73 donne di colore.
- Le donne continuano a sperimentare microaggressioni e discriminazioni sottili, che hanno un impatto negativo sulla loro sicurezza psicologica e sulla probabilità di burnout.
- La flessibilità lavorativa si conferma un fattore chiave: l’80% delle donne afferma che la flessibilità le ha aiutate a mantenere il proprio ruolo o a evitare la riduzione dell’orario lavorativo.
Sebbene i report McKinsey siano globali, i dati italiani mostrano un ritardo nella diversità nei vertici aziendali.
Secondo il rapporto Cerved 2023, solo il 18% delle posizioni nei CDA delle società italiane non quotate è occupato da donne e secondo il Gender Equality Index 2023 dell’European Institute for Gender Equality (EIGE), l’Italia si colloca sotto la media europea, soprattutto nei settori dell’occupazione femminile, della partecipazione ai ruoli decisionali e del gender pay gap.
Nonostante il livello di istruzione delle donne italiane sia mediamente superiore a quello maschile, il tasso di occupazione femminile si ferma al 51,1% (contro una media UE del 67%), e la presenza nei ruoli apicali resta bassa. Solo il 18% delle imprese italiane ha una donna come amministratore unico o delegato. Le retribuzioni,
a parità di ruolo e competenze, continuano a mostrare una differenza salariale del 12% netto, che sale fino al 40% in alcune professioni libere.
Questi numeri non sono solo un problema sociale.
Sono un freno alla crescita economica del Paese.
Secondo Banca d’Italia, se l’occupazione femminile raggiungesse quella maschile, il PIL italiano crescerebbe di circa 7 punti. Un dato che dovrebbe far riflettere tutti: inclusione e crescita non sono antagonisti. Sono alleati.
Infatti le aziende italiane che hanno investito in leadership diversificata mostrano segnali positivi in termini di innovazione e resilienza.
Il valore della diversità nei luoghi di lavoro non si limita all’equità. Riguarda l’innovazione. Ambienti omogenei tendono a riprodurre gli stessi schemi decisionali, con il rischio di cadere in una comfort zone che inibisce la creatività. Al contrario, un team eterogeneo porta a soluzioni più complesse, ma anche più efficaci, proprio perché nate dall’incontro (e talvolta dallo scontro) di visioni differenti.
Le aziende che promuovono una cultura inclusiva sono anche quelle che:
- attraggono e trattengono talenti (soprattutto le nuove generazioni)
- sviluppano prodotti e servizi più adatti a un mercato globale
- ottengono migliori risultati in termini di reputazione e responsabilità sociale
- hanno accesso a forme di finanziamento legate ai criteri ESG
Dal 2024, con l’entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la rendicontazione della diversità è diventata un obbligo normativo per migliaia di imprese europee. Le aziende saranno tenute a dichiarare pubblicamente il proprio impegno e i risultati raggiunti su diversi ambiti, tra cui:
- presenza di donne nei ruoli apicali
- politiche retributive inclusive
- misure di conciliazione vita-lavoro
- prevenzione delle discriminazioni
- cultura organizzativa e formazione
Gli standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards), sviluppati da EFRAG, forniscono uno schema preciso per questa rendicontazione.
Questo significa che diversità e inclusione entrano a pieno titolo nella governance aziendale, come elementi valutabili dagli investitori e dai mercati.
La valorizzazione della diversità non riguarda solo le grandi imprese. Anche le PMI, gli studi professionali, gli enti pubblici e gli ordini professionali possono e devono lavorare per promuovere modelli organizzativi più inclusivi.
Per farlo servono:
- strumenti di analisi del gender pay gap
- formazione sul linguaggio e i bias inconsci
- politiche di flessibilità oraria e smart working
- mentoring e sponsorship per la crescita professionale delle donne
- attenzione alla leadership condivisa e alla partecipazione nei processi decisionali
Il tema della diversità tocca anche gli ordini professionali e il mondo delle libere professioni, che storicamente hanno mostrato una forte disparità di genere, soprattutto nei ruoli dirigenziali.
Nonostante l’ingresso crescente delle donne in professioni come quella del commercialista, dell’avvocata, dell’architetta o della notaia, permane un forte squilibrio nei vertici e negli organi
rappresentativi.
Secondo dati aggiornati del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, solo il 30% degli iscritti sono donne, ma la loro presenza nei Consigli degli Ordini locali è spesso ben inferiore. Lo stesso vale per altri Ordini: le donne sono più della metà dei giornalisti e degli psicologi iscritti, ma in minoranza nei vertici.
Perché è importante parlarne?
Perché l’inclusione nei processi decisionali è un indicatore di democrazia interna e di capacità di rappresentare davvero le istanze di tutti gli iscritti.
Gli Ordini, inoltre, possono diventare attori fondamentali di cambiamento, promuovendo:
- bandi e nomine più inclusivi
- formazione su parità e leadership
- task force per monitorare il gender pay gap tra professionisti
- eventi, mentoring e pubblicazioni dedicate
- linguaggio amministrativo e comunicativo attento alla parità
Noi professionisti possiamo essere parte attiva del cambiamento. Non solo nei nostri studi, ma nel sistema professionale nel suo complesso. Perché un mondo del lavoro più equo si costruisce anche a partire dalle sue fondamenta.
Scommettere sulla diversità non è solo “la cosa giusta da fare”. È la cosa utile da fare. Perché la vera innovazione nasce quando si mettono insieme sguardi differenti. E la competitività, oggi, passa per la capacità di creare ambienti di lavoro in cui tutte e tutti possano esprimere il proprio potenziale senza ostacoli.
Il lavoro del futuro sarà sempre più fluido, complesso, globale. E per affrontarlo serviranno competenze, creatività, visione. Ma soprattutto serviranno organizzazioni capaci di guardare oltre la somiglianza e investire nella differenza.
È lì che si gioca il valore. Anche quello economico.
*ODCEC Milano