Il D. Lgs. 81/2015 – Le Collaborazioni etero-organizzate: Il nuovo discriminee fra autonomia e subordinazione

di Evangelista Basile* e Emanuele Andreis **

Il diritto del lavoro conosce due tipologie principali di prestazione attraverso le quali può essere resa un’attività a favore di un altro soggetto ed è principio consolidato che ogni attività umana possa essere oggetto di entrambe. A distinguere le due fattispecie sono le caratteristiche “ontologiche” dei rapporti che sono descritti – rispettivamente – dagli artt. 2094 c.c. e 2222 c.c. La subordinazione intesa essenzialmente come etero-direzione nel primo, l’autonomia nel secondo.

Ai concetti espressi dalle norme è stato poi garantito un miglior approfondimento dalla giurisprudenza, che ne ha cesellati i relativi confini, in particolare della subordinazione (unica a necessitare tale operazione, per i tentativi di estenderla, con le tutele lavoristiche, assistenziali e previdenziali che comporta). Al riguardo è stato così affermato che l’etero-direzione si esplica tramite il potere direttivo e di controllo del datore sulle modalità con cui il collaboratore esegue la prestazione, connotata – peraltro – da una durata tendenzialmente continua, mentre l’autonomia del prestatore (ex art. 2222 c.c.) consentirebbe a quest’ultimo la facoltà di organizzare come meglio preferisca la propria attività – viceversa – orientata solo occasionalmente a favore del committente. A questo primissimo, essenziale, contenuto è stato poi aggiunto quello attinente l’analisi economica delle attività che vedeva il lavoratore subordinato anche economicamente dipendente dal datore a differenza dell’autonomo nei confronti del committente/cliente. Sulla distinzione tra le due fattispecie si è scritto comunque tantissimo e non è possibile qui approfondire oltre gli sviluppi di ciascuno dei concetti brevemente tratteggiati.

Al fianco di questa primordiale distinzione – e di queste due originarie fattispecie – invero, negli anni ne è sorta un’altra, ben più problematica.

Si tratta delle collaborazioni autonome continuative, la cosiddetta para subordinazione, che ha acquisito una notevole rilevanza sia numerica, nel mercato del lavoro, sia concettuale per l’equidistanza – teorica – dalle due fattispecie originarie troppo spesso sbilanciata verso la subordinazione, consentendo così l’occasione per eludere le tutele riconosciute ai titolari di rapporti di lavoro subordinato.

Le prestazioni oggetto di questi contratti, diversamente dal più tradizionale significato della prestazione autonoma ex art. 2222 c.c., si svolgono in maniera continuativa a favore (tendenzialmente) di un solo committente e proprio per questo è spesso arduo individuarne la diversità rispetto al lavoro subordinato. Proprio questa difficoltà ha spinto il Legislatore a tentare più volte di definire normativamente i contorni di queste collaborazioni autonome, onde evitarne l’abuso.
Negli ultimi anni, l’inefficacia di tali discipline allo scopo perseguito, ha provocato un susseguirsi di interventi: prima il d.lgs. 276/2003 (c.d. legge Biagi), poi la l. 92/2012 (c.d. “Riforma Fornero”), che aveva novellato proprio il testo anzi- detto, e – ora – il d.lgs. 81 del 15.6.2015 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”.

Sebbene l’obiettivo iniziale fosse quello di impedire del tutto il ricorso a questa tipologia di contratti, la riforma ha lasciato alcuni spazi – come si vedrà – limitandosi a una prospettiva di contenimento tramite l’estensione del campo di applicazione della disciplina del lavoro subordinato e ponendosi in continuità sistematica con la (precedente) previsione di agevolazioni (contributive e in termini di flessibilità in uscita, senza dimenticare l’acausalità dei contratti a termine) per i contratti di lavoro subordinato.

Premessa una breve cronistoria della disciplina normativa delle ipotesi di lavoro autonomo più prossime – ontologicamente, ovvero per trattamento giuridico – al lavoro subordinato, si esamineranno le novità introdotte su questo versante dalla riforma in discorso.

I. L’evoluzione normativa in materia di collaborazioni e le scelte di politica del diritto. Le collaborazioni autonome continuative sono state disciplinate per la prima volta con la L. 741/1959 (c.d. Legge Vigorelli) che, all’art. 2, garantiva un minimo inderogabile di trattamento economico e normativo anche ai “rapporti di collaborazione che si concretino in prestazione d’opera continuativa e coordinata”. Anche il codice di procedura civile, nell’elencare all’art. 409 c.p.c. le controversie deferite alla competenza del Giudice del lavo- ro, annovera anche gli “3) […] altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.

Il panorama normativo dell’epoca, pur rico- noscendo diritto di cittadinanza a queste tipologie di prestazione, non era d’altra parte particolarmente esplicito nel definirne i con- torni, riguardo ai quali fu essenziale l’opera ermeneutica di dottrina e giurisprudenza. Queste ultime, sviluppando i predetti riferimenti normativi descrissero il collaboratore auto- nomo coordinato e continuativo come colui che svolge una prestazione d’opera a carattere non subordinato; in maniera non occasionale (e dunque continuativa, Cass. civ., 1 settembre 1990, n. 9067); fornendo una prestazione prevalentemente personale (ove prevalesse l’attività del prestatore sull’utilizzo di altri fattori produttivi) e in connessione funzionale con le attività del committente (cfr. Cass. Civ. 30.12.1999 n. 14722) nella cui organizzazione aziendale avrebbe dovuto dunque inserir- si l’attività del collaboratore (cfr. Cass. civ., n. 9067/1990, cit.), con la funzionalizzazione che risultava altresì intesa come orientamento delle attività del prestatore al raggiungimento di scopi determinati dal “committente” (Cass. Civ. 21.2.98, n. 1897).

Con l’entrata in vigore della c.d. Riforma Biagi (D. Lgs. 276/2003), invece, le collaborazioni coordinate e continuative dovevano “essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel ri- spetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”. In difetto dello specifico progetto le collaborazioni si “consideravano” rap- porti di lavoro subordinato (ex art. 69 D. Lgs. 276/2003). Questo primo intervento aveva dunque cercato di assegnare un ruolo discreti- vo tra l’autonomia e la subordinazione al pro- getto, nell’ambito del quale avrebbero dovuto essere rese manifeste (tra le altre) quelle particolarità che la giurisprudenza aveva ritenuto essenziali per il riscontro della collaborazione coordinata e continuativa. Restava – d’altro canto – ferma la possibilità, anche dopo l’entrata in vigore della Riforma Biagi, di concludere contratti di prestazione autonoma ex art. 2222 c.c., senza alcuna formalità particolare prevista dalla legge, purché non si trattasse di una collaborazione coordinata e continuativa (la quale invece esigeva un progetto).

La Riforma Fornero (L. 92/2012), con un nuovo intervento ulteriormente restrittivo, ha avvicinato la disciplina protettiva del lavoro a progetto a quella del lavoro subordinato, incrementando le tutele e rendendo più rigide le modalità di esecuzione della prestazione (ciò ha consentito a molti di proseguire il ricorso allo schema contrattuale in discorso, pur favo- rendo maggiormente i collaboratori). Inoltre, la riforma del 2012 ha aggiunto alla Legge Biagi l’art. 69-bis che prevedeva una presunzione di collaborazione coordinata e continuativa di tutti quei rapporti di lavoro autonomo caratterizzati da:

  • collaborazione superiore a 8 mesi nell’anno solare (calcolati su un biennio);
  • compenso superiore all’80% del reddito del prestatore;
  • predisposizione di una postazione fissa di lavoro e strumenti del committente a favore del collaboratore.

La trasformazione in co.co.co. dei contratti di lavoro autonomo era peraltro solo formale poiché determinava automaticamente, in assenza del progetto (quasi mai previsto in con- tratti “nati” come autonomi ex art. 2222 c.c.), una contestuale conversione in rapporto di lavoro subordinato, con tutte le conseguenze sul piano della disciplina del rapporto, previdenziale e fiscale.

II. La riforma introdotta con D. Lgs. 81/2015: le collaborazioni organizzate dal committente.

La novella è intervenuta nella materia in esame in particolare per il tramite degli artt. 2 e 52 del citato decreto legislativo n. 81 del 2015.

L’art. 2 introduce il requisito dell’etero-organizzazione come elemento suscettibile di rendere applicabile (e dunque estendere) la disciplina della subordinazione anche a rapporti di collaborazione continuativa genuinamente autonomi; invece, l’art. 52 ha disposto l’abrogazione degli articoli dal 61 al 69-bis del d.lgs. 276/2003 (cioè le disposizioni che conteneva- no la disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative, tramite il progetto e le presunzioni dianzi descritte), facendo espressamente salvo – viceversa – l’art. 409 c.p.c.

L’effetto più evidente è che viene meno – integralmente – la disciplina del contratto di lavoro a progetto e delle presunzioni relative alle prestazioni di lavoro autonomo (oltre a scomparire l’associazione in partecipazione con apporto di lavoro, ai sensi dell’art. 53 del citato decreto). Solo questo, perché continua a essere contemplata nel nostro ordinamento l’esistenza di collaborazioni continuative, prevalentemente personali, anche di carattere non subordinato, rese in forma coordinata con l’organizzazione del committente: manca del tutto un qualsiasi divieto in proposito.

Se ci si fermasse qui, si potrebbe dire che si è tornati al regime previgente alla stessa riforma Biagi (del 2003) e in questo senso deporrebbe l’assenza di formalità (il progetto con tempisti- che e modalità della prestazione) per il ricorso alla collaborazione coordinata e continuativa.
Il cambiamento di registro è, viceversa, fornito dall’art. 2, laddove – come anticipato – introduce la fattispecie delle collaborazioni autonome etero-organizzate, stabilendo al riguardo che: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordina- to anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

In proposito si sono spese molte delle più autorevoli voci della dottrina, quasi tutte adottando interpretazioni tra loro differenti riguardo l’inquadramento ontologico della fattispecie e la descrizione come “norma di disciplina” della disposizione in esame, ma naturalmente non hanno potuto contraddire il Legislatore su ciò che nella norma è esplicitato: l’estensione delle tutele del lavoro subordinato alle collaborazioni di carattere personale e continuativo le cui modalità di esecuzione della prestazione siano “organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

Si potrà dunque dire che sia stata estesa la no- zione di subordinazione, sostituendola con il concetto di etero-organizzazione (così – con sfumature differenti tra loro – M.T. Carinci, All’insegna della flessibilità, in AA.VV., Jobs act. Il contratto a tutele crescenti (a cura di M.T. Carinci e A. Tursi), Torino, 2015, XIX; O. Razzolini, La nuova disciplina delle collabora- zioni organizzate dal committente. Prime con- siderazioni, in WP C.S.D.L.E. M.D’Antona, 2015, n. 266 e T. Treu, In tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi contrattuali, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2015, p. 155 ss.), ovvero si potrà dire che si tratta ancora di rapporti autonomi (per questa tesi militano – tra gli altri – R. Pessi, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. M.D’Antona, 2015, n. 2), ma cui – tuttavia – viene applicato il regime della subordinazione. Se – da un punto di vista sistematico – potrà dunque rilevare la scuola di pensiero (tra quelle in maniera sintetica tratteggiate) cui si volesse aderire, – da un punto di vista immediatamente operativo – l’aspetto decisivo è l’individua- zione dei presupposti per l’applicazione della disciplina (soprattutto fiscale e previdenziale) della subordinazione (in questo ultimo sen- so, seppur con maggior approfondimento, parrebbe porsi anche G. Santoro Passarelli, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le collaborazioni continuati- ve e coordinate ex art. 409 n. 3 c.p.c., in WP C.S.D.L.E. M. D’Antona, 2015, n. 278).

Al riguardo, quanto all’interpretazione dei requisiti della “personalità” e della “continuatività” della prestazione – in assenza di specifici riferimenti normativi – è verosimile che i Giudici del lavoro possano far ricorso ai medesimi criteri ermeneutici già utilizzati in passato, ancor prima dell’entrata in vigore della Riforma Biagi (come brevemente riassunti nel paragrafo precedente).

Certamente più problematica sarà l’interpreta- zione del requisito della cd. “etero-organizzazione” delle modalità di esecuzione della prestazione introdotto dall’art. 2.

Se il concetto di etero-organizzazione fosse del tutto sovrapponibile a quello di etero-direzione di cui all’art. 2094 c.c. la novità introdotta dalla riforma avrebbe una portata nulla, in quanto consisterebbe nel mero consolidamento normativo di quanto già previsto dalla giurisprudenza in tema di discrimine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato.

Viceversa, occorre rammentare che l’intento che ha illuminato l’intervento del Legislatore era evitare l’elusione della disciplina della subordinazione e, anzi, incentivarla ed estenderla quanto più possibile (perché è la disciplina che contiene maggiori protezioni, per cui – estendendola – si estendono le protezioni nel mondo del lavoro). La ratio consente dunque di porre maggiormente l’attenzione sul fatto che questo concetto di etero-organizzazione è letteralmente descritto nei seguenti termini: «le modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».

Il Legislatore parrebbe aver tentato di positivizzare uno dei criteri elaborati dalla giurisprudenza per riscontrare la subordinazione (così ancora G. Santoro Passarelli, op.ult.cit.) anche nelle collaborazioni autonome, o quanto meno per rilevarne una prossimità tale da giustificare – a prescindere da valutazioni circa gli ulteriori indici della subordinazione stessa – la riconduzione alla medesima disciplina.

Lo strumento appare dunque simile a quello delle presunzioni e delle conversioni automatiche (come qualcuno ha infatti sostenuto in dottrina, per esempio, P. Tosi, L’art. 1, co. 1, del d.lgs. 81/2015: una norma apparente?, in ADL, 2015, n. 6).

Alla luce di questo percorso, la nozione di “etero-organizzazione” corrisponderebbe a una forma di subordinazione “attenuata”, nel- la quale non è necessario verificare l’esercizio (e neppure l’astratta previsione) del potere direttivo e di controllo da parte del datore di lavoro (formalmente, committente), ma è sufficiente – ai fini della estensione delle tutele legate al lavoro subordinato – che questi abbia organizzato il lavoro altrui. E, naturalmente, i primi indizi di tale organizzazione non potranno che essere individuati in tempi (l’orario) e luoghi – con i connessi strumenti – di lavoro. Se tale interpretazione dovesse trovare con- ferma in giurisprudenza, si applicherebbero le tutele del lavoro subordinato anche a quei rapporti genuinamente autonomi, ma in cui il committente inserisce il collaboratore nella struttura dell’azienda in modo talmente organico – e coordinato – da arrivare a imporgli tempi e luoghi dell’esecuzione dell’opera.

Ciò in qualche modo – come tutte le presunzioni – semplifica l’attività di tutti gli operatori giudiziali del diritto: avvocati e giudici concentreranno ora l’attenzione sulla prova del solo potere del committente di organizzare la prestazione del collaboratore, con molto ridotto interesse per l’estrinsecazione di un potere direttivo (che effettivamente molto spesso era difficile da riscontrare anche – e soprattutto – in chi si valeva in maniera elusiva delle co.co. co., o co.co.pro. che dir si voglia).

Se detta impostazione dovesse essere con- fermata, sarà quindi inevitabile che le uniche co.co.co in cui non si applicherà la disciplina del lavoro subordinato saranno quelle in cui il collaboratore autonomo è libero di eseguire l’incarico (quantomeno) nei tempi e nei luoghi da lui stesso scelti.

III. Le altre novità in cenni: le eccezioni (art. 2, co. 2), le abrogazioni (artt. 52 e 53) e la stabilizzazione (art. 54).

L’assolutezza dell’ultimo paragrafo, e dello stesso primo comma dell’art. 2 della novella in esame, è arginata immediatamente nel mede- simo articolo tramite una schiera di eccezioni indicate nel comma successivo, ove invero si prevede che «le disposizioni di cui al comma 1 non trovano applicazione»:

a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economi- co e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;

b) alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;

c) alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;

d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sporti- ve nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal O.N.I., come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Se le lettere da (b) a (d) riprendono – pur con qualche difformità (in particolare, il agli “albi”, nella b, non dovrebbe impedire l’allargamento a registri, ruoli o elenchi, comunque equiparabili per la presenza di discipline su tirocinio e abilitazione; potendosi ancora far riferimento al censimento effettuato col d.m. 20 dicembre 2012 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali) – analoghe e precedenti distinzioni che non consentivano di applicare a tali casistiche la disciplina delle presunzioni e del lavoro a progetto, la lettera (a) è una novità che consentirà – di fatto – un confine mobile delle tutele del lavoro subordinato (o per essere più attualmente precisi, etero-organizzato): tale confine sarà infatti stabilito dalla contrattazione collettiva (a livello nazionale). Ciò salva dalla disciplina della subordinazione settori come quello dei call center c.d. outbound (già specificamente disciplinato dalla contrattazione collettiva) e tutti gli altri nei quali le organizzazioni rappresentative dei datori di lavoro (che, come hanno osservato Razzolini e San- toro Passarelli, saranno gli unici ad averne l’interesse) riusciranno a trovare un consenso dai rappresentanti sindacali dei lavoratori (sempre che si riesca – peraltro – a individuare chi possa rappresentare categorie tanto eterogenee quali quelle dei collaboratori autonomi in questione).

In questo caso, il legislatore ha ritenuto – anche in presenza di collaborazioni continuative etero-organizzate – di non imporre l’applicazione delle tutele del lavoro subordinato, ritenendo evidentemente sufficienti le tutele apprestate dalle organizzazioni sindacali. È probabile peraltro che potranno anche ammettersi accordi collettivi nazionali che si limitino a prevedere la disciplina quadro, rinviando poi ai livelli territoriali e/o aziendali quella di dettaglio.

D’altro canto, come anticipato, l’art. 52 ha abrogato anche:

  • l’art. 69-bis del Lgs. 276/2003 introdotto, come detto, dalla Legge Fornero per limitare la diffusione delle c.d. “false partite iva”, così eliminando il regime di presunzioni che agevolava il collaboratore (fittiziamente qualifica- to come tale) nella prova della subordinazione. Ne consegue che il collaboratore titolare di partita iva che intenderà agire in giudizio per l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro dovrà provare la sussistenza dei c.d. “indici di subordinazione” o dell’etero- organizzazione;
  • le collaborazioni occasionali ex 61, com- ma 2, D. Lgs. 276/2003; rispetto alle quali il di- vieto di instaurazione di nuovi rapporti è stato anticipato sin a giugno 2015.

Mentre l’art. 53 del decreto legislativo ha abrogato altresì l’associazione in partecipazione con apporto, anche solo parziale, di lavoro; altra forma di lavoro parasubordinato che ave- va già trovato consistenti limitazioni ad opere della cd riforma Fornero e che adesso viene interamente superata.

Infine, l’art. 54 ha previsto un meccanismo di “stabilizzazione” per le collaborazioni già in corso, volto a promuovere le assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori dei quali l’impresa si è già avvalsa in qualità di collaboratori. Per mezzo di questa sorta di “sanatoria” i datori di lavoro (privati) hanno la possibilità di assumere, a far data dal 1° gennaio 2016, i propri collaboratori coordinati e continuativi (anche a progetto e titolari di partita iva), ottenendo l’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro (fatti salvi quelli accertati in data antecedente all’assunzione). Al lavoratore interessato all’assunzione è imposta però la contestuale rinuncia a tutte le possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di collaborazione (nelle forme previste dall’art. 2113, comma 4°, c.c. o avanti alle commissioni di certificazione); mentre il datore di lavoro non potrà recedere dal rapporto instaurato nei successivi 12 mesi (se non per giusta causa o giustificato motivo soggettivo).

IV. Quadro conclusivo.

La novella, lungi dall’espungere la tipologia delle collaborazioni coordinate e continuative dal panorama giuslavoristico, ha – nel tentativo di arginarne l’utilizzo – introdotto un’ulteriore fattispecie, le collaborazioni etero-organizzate. Come si diceva, ci sono dubbi in dottrina sul- la riconducibilità della nuova fattispecie ai tipi fondamentali codificati: per la subordinazione deporrebbe la disciplina dell’effetto, la quale sarebbe peraltro contraddittorio fosse applicata a qualcosa che non manifesta i caratteri– ontologici – della subordinazione; d’altra parte, la sufficienza dell’etero-organizzazione invece che dell’etero-direzione, le eccezioni e la stessa “estensione della disciplina” (non affiancata da una sostituzione della definizione del tipo: si è parlato – M. Del Punta – infatti di norma di disciplina, invece che di norma definitoria) indurrebbero invece a ritenere questi rapporti ancora ontologicamente autonomi. D’altro canto, questi dubbi non saranno facilmente risolti e la stessa presenza di teorie tanto diverse, senza neppure la possibilità di una – se non semplicistica – riconduzione ad unum delle voci della dottrina, testimonia che si dovrà convivere per qualche tempo con un inquadramento – almeno ontologico – dubbio, con la conseguente difficoltà di individuazione dell’effettivo confine della disciplina del lavoro subordinato. Perché, se è certo che la riforma afferma in quali casi – a qualunque categoria delle classiche siano ascritti – debbano applicarsi tali normative, è altrettanto vero che, per essere ipotesi in cui si arriva alla subordinazione grazie alla riforma, dovranno essere rapporti che altrimenti sarebbero quantomeno potuti nascere ed essere considerati formalmente autonomi.

E, allora, da un lato preponderante – come si è scritto – sarà la gestione concreta del rapporto e la garanzia effettiva di spazi di autonomia per quei collaboratori e, dall’altro, occorrerà attenzione nella predisposizione di contratti che– viceversa – non impongano regole rigide ai medesimi collaboratori.

Considerati i dubbi interpretativi e le difficoltà descritte, si potrà ancora ricorrere alla procedura di certificazione dei contratti (prevista dal terzo comma dell’art. 2 e con rimessione alle medesime commissioni di cui all’art. 76 D. Lgs. 276/2003), escludendo esplicitamente la ricorrenza dei requisiti della subordinazione e della etero-organizzazione. Tuttavia, in assenza di precisazioni normative sugli effetti della certificazione, neppure a questi strumenti si potrà attribuire efficacia decisiva: ragionevolmente, il Legislatore consente che esse garantiscano la spontaneità del consenso del lavoratore e la conformità dell’iniziale programma negozia- le rispetto alla legge, ma non che il concreto svolgimento del rapporto non si atteggi – per il solo fatto che così è scritto e certificato – in modo diverso rispetto a quanto pattuito sulla carta. In tal caso, nulla impedirà al lavoratore di chiedere l’accertamento della novazione contrattuale avvenuta nei fatti e dunque il riconoscimento della subordinazione o della subordinazione “attenuata”, ossia della collabo- razione continuativa etero-organizzata.

In generale, si può però dire che la riforma ha riportato il baricentro delle questioni essenziali– nella dialettica autonomia- subordinazione – nell’ambito dei fatti concreti del rapporto, svilendo le previsioni formali dei contratti (vice- versa privilegiate dalla disciplina del contratto a progetto).

* Avvocato- socio dello Studio Ichino-Brugnatelli e Associati
**Collaboratore dello Studio Ichino-Brugnatelli e Associati

 

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