LICENZIAMENTO RITORSIVO

di Bernardina Calafiori e Simone Brusa* 

Tribunale di Nola, sentenza n. 33901 del 28 dicembre 2020, est. dott.ssa Salvatore 

Massima: è da considerare ritorsivo il licenziamento per giusta causa inflitto al lavoratore che abbia registrato conversazioni con superiori all’insaputa degli interessati laddove tali registrazioni fossero strumentali ad un’azione giudiziaria nei confronti del datore per demansionamento e mobbing

 Una Società licenziava per giusta causa un proprio dipendente per aver effettuato “quattro registrazioni ambientali di dialoghi avuti con propri superiori gerarchici”.

La Società veniva a conoscenza di tali registrazioni nell’ambito di una causa intentata dal medesimo lavoratore volta alla richiesta di un risarcimento danni per presunte condotte di demansionamento/ mobbing subite nel contesto lavorativo.

Il Dipendente impugnava quindi il licenziamento, lamentando la natura ritorsiva del provvedimento disciplinare espulsivo.

Il Giudice incaricato di esaminare la vicenda prendeva le mosse dalla pronuncia di Cassazione n. 11322/2018 la quale affermava che la possibilità di utilizzare – anche in sede giudiziale – registrazioni raccolte da un soggetto che fosse presente ai dialoghi oggetto di registrazione “va verificata nei suoi termini astratti con riguardo alla sua oggettiva inerenza alla finalità di addurre elementi atti a sostenere la tesi difensiva”. Nel caso in esame quindi la finalità con cui verificare l’inerenza era l’accertamento del contesto lavorativo all’interno del quale, almeno secondo la tesi del lavoratore, sarebbero avvenute le condotte mobbizzanti.

Il Giudice riconosceva che nel caso in esame la fattispecie (e quindi le conversazioni registrate) rientrava in tale finalità e che delle registrazioni non era stata data alcuna diffusione ulteriore (lasciando intendere che tale eventualità avrebbe potuto avere un qualche rilievo).

Ritenendo tali registrazioni utili all’esercizio del diritto di difesa del dipendente, il Giudice escludeva che tale condotta potesse avere un rilievo disciplinare. L’assenza di antigiuridicità del fatto contestato veniva altresì considerata quale “indizio dell’esclusività del motivo ritorsivo”.

Alla luce di ciò, nonché in considerazione di alcuni ulteriori elementi relativi al “clima lavorativo” con ripetute “stigmatizzazioni” a carico del dipendente da parte del datore di lavoro, il Giudice accertava la natura ritrosiva del provvedimento espulsivo con conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegra del dipendente nel posto di lavoro precedentemente occupato, oltre a 5 mensilità a titolo di indennità risarcitoria.

* Avvocato Studio Legale Daverio & Florio

 

 

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