Novità in materia di distacco transnazionale

di Paolo Soro* 

Il 30 settembre è entrato in vigore il d.lgs. 15/09/2020 N. 122 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale N. 229), recante modifiche alla direttiva 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. Prima di andare nello specifico, sembra però doveroso un riepilogo della normativa previgente, al fine di chiarire bene la materia

L’istituto in parola è stato oggetto di un primo importante intervento da parte del Legislatore italiano, il quale ne ha disciplinato gli aspetti operativi con il d.lgs. 17/07/2016, N. 136:

“Attuazione della direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi”.

Con questo primo provvedimento anche l’Italia ha recepito la direttiva che regolamenta il distacco transnazionale. La ratio della norma comunitaria – come noto – è quella di combattere i continui e ripetuti fenomeni di dumping salariale, prevedendo fondamentalmente:

  • l’obbligo di applicare ai lavoratori stranieri distaccati le stesse condizioni di lavoro e retributive, cui sono ordinariamente soggetti i lavoratori nazionali; si ricorda che nel caso di retribuzioni inferiori esistenti nel Paese ospitante, i dipendenti possono continuare a godere di quelle di maggior favore previste nello Stato di provenienza;
  • la regolamentazione dei vari rapporti lavorativi (agevolata da un vincolo di cooperazione amministrativa fra Stati: IMI – Internal Market Information; EESSI – Electronic Exchange of Social Security Information), onde controllare le varie ipotesi di distacco e, se del caso, intervenire con un complesso apparato sanzionatorio.

Il legislatore, in sostanza, si attiva affinché si dia sempre concreta applicazione al principio generale del “lex loci laboris”, evitando che si verifichino oggettive situazioni di concorrenza sleale tra i datori di lavoro, nonché disparità di trattamento tra lavoratori nazionali e stranieri.

A tali rapporti di lavoro si devono dunque applicare, durante il periodo del distacco, le disposizioni stabilite dai contratti di lavoro in essere nella nazione in cui viene svolta la prestazione, in materia di:

  • periodi massimi di lavoro e minimi di riposo
  • durata minima delle ferie annuali retribuite
  • tariffe minime salariali
  • salute, sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro
  • non discriminazione tra uomo e donna.

Con particolare riguardo alle retribuzioni (sulla base delle intervenute circolari interpretative in Italia), si deve tener conto di:

  • paga base
  • elemento distinto della retribuzione
  • indennità legate all’anzianità di servizio
  • superminimi
  • retribuzioni per lavoro straordinario, notturno e festivo
  • indennità di distacco
  • indennità di trasferta.

Per ottenere tutti gli scopi stabiliti dalla direttiva, i legislatori nazionali introducono alcune novità di rilievo.

In particolare, in Italia (d.lgs. 136/2016), occorre innanzitutto redigere per iscritto l’accordo tra distaccante e distaccatario, e il contratto per la gestione del rapporto tra datore di lavoro distaccante e lavoratore distaccato (nelle rispettive lingue di riferimento in base allo specifico distacco), dove verrà evidenziato, tra l’altro:

  • l’interesse della società distaccante;
  • le ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive che rendono necessario il distacco;
  • la retribuzione globale garantita nel corso del distacco, precisando che trattasi di emolumenti applicabili solo in detto periodo lavorativo;
  • gli obblighi lavorativi (tipologia di mansioni, regole disciplinari, potere gerarchico, etc.) a cui sarà soggetto il lavoratore durante tale periodo del distacco.

L’impresa che distacca lavoratori ha l’obbligo di comunicare il distacco di regola entro le ore ventiquattro del giorno antecedente l’inizio del distacco e di comunicare altresì tutte le successive modifiche entro cinque giorni. Tale comunicazione preventiva di distacco deve contenere le seguenti informazioni:

  • dati identificativi dell’impresa distaccante;
  • numero e generalità dei lavoratori distaccati;
  • data di inizio, di fine e durata del distacco;
  • luogo di svolgimento della prestazione di servizi;
  • dati identificativi del soggetto distaccatario;
  • tipologia dei servizi;
  • generalità e domicilio eletto di un referente nel Paese ospitante, incaricato di inviare e ricevere atti e documenti, nonché per tenuta ed esibizione della documentazione prescritta dalla normativa (in difetto, la sede dell’impresa distaccante si considera il luogo dove ha sede legale o risiede il destinatario della prestazione di servizi);
  • generalità di un rappresentante (che può anche coincidere col referente anzidetto) per tenere i rapporti con le parti sociali, e con l’obbligo di rendersi disponibile in caso di richiesta motivata delle stesse.

In ottica sanzionatoria, i provvedimenti amministrativi o giudiziari vengono adottati dai rispettivi Paesi di competenza, previa comunicazione fra le Autorità preposte al controllo. Cionondimeno, è bene ricordare che, laddove venga eccepita l’illegittimità del distacco, i lavoratori interessati sono considerati automaticamente, a tutti gli effetti, dipendenti del datore di lavoro distaccatario (ossia, colui che ne ha utilizzato le prestazioni), con tutto ciò che questo comporta anche relativamente al soggetto destinatario delle correlate sanzioni specificatamente previste.

Ai fini dell’accertamento dell’autenticità del distacco, gli organi di vigilanza effettuano una valutazione complessiva di tutti gli elementi della fattispecie.

Per accertare se l’impresa distaccante eserciti effettivamente attività diverse rispetto a quelle di mera gestione o amministrazione del personale dipendente, sono valutati i seguenti elementi:

  • il luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale e amministrativa, i propri uffici, reparti o unità produttive;
  • il luogo in cui l’impresa è registrata alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o, se richiesto in ragione dell’attività svolta, a un albo professionale;
  • il luogo in cui i lavoratori sono assunti e quello da cui sono distaccati;
  • la disciplina applicabile ai contratti conclusi dall’impresa distaccante con i suoi clienti e con i suoi lavoratori;
  • il luogo in cui l’impresa esercita la propria attività economica principale e in cui risulta occupato il suo personale amministrativo;
  • il numero dei contratti eseguiti o l’ammontare del fatturato realizzato dall’impresa nello Stato membro di stabilimento, tenendo conto della specificità delle piccole e medie imprese e di quelle di nuova costituzione.

Per accertare se il lavoratore è realmente distaccato, sono inoltre valutati:

  • il contenuto, la natura e le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, nonché la retribuzione del lavoratore;
  • la circostanza che il lavoratore eserciti abitualmente la propria attività nello Stato membro da cui è stato distaccato;
  • l’effettiva temporaneità dell’attività lavorativa svolta nel Paese ospitante;
  • la circostanza che il lavoratore sia tornato, o si preveda che torni, a prestare la sua attività nello Stato da cui è stato distaccato;
  • la circostanza che il datore di lavoro che distacca il lavoratore provveda alle spese di viaggio, vitto o alloggio e le modalità di pagamento o rimborso;
  • gli eventuali periodi precedenti in cui la medesima attività è stata svolta dallo stesso o da un altro lavoratore distaccato;
  • l’esistenza del certificato relativo alla legislazione di sicurezza sociale applicabile (i noti documenti “portabili”).

Un’ultima novità degna di nota attiene poi al fatto che la disciplina relativa all’autenticità del distacco, alle condizioni di lavoro e di occupazione, nonché ai vari adempimenti amministrativi obbligatori, si applica non solo in caso di distacco intra-UE, ma anche nelle ipotesi di distacco transnazionale concernenti le imprese stabilite in uno Stato terzo.

Orbene, come accennato in sede introduttiva, il legislatore comunitario ha ritenuto di dover ampliare questo generale impianto normativo, con l’emanazione della direttiva 2018/957 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 28 giugno 2018, recante: “Modifica della Direttiva 96/71/CE”. 

La nuova direttiva interviene agendo su alcuni punti giudicati troppo deboli e non in grado di assolvere alla ratio legislativa. Per esempio, varia la durata del distacco: il periodo massimo iniziale resta fissato a dodici mesi, con una possibile proroga, però, solo di sei mesi. Trascorso tale termine, il dipendente può restare a lavorare nel Paese ospitante, ma dovrà a quel punto essere soggetto all’intera normativa sul lavoro (dunque anche quella previdenziale, assicurativa e infortunistica) vigente in quello Stato.

Gli Stati membri avevano l’obbligo di conformare le loro norme interne entro il 30 luglio 2020, conseguentemente ai principi dettati dalla nuova direttiva. Come detto, l’Italia è arrivata un paio di mesi in ritardo, pubblicando nella Gazzetta Ufficiale il citato d.lgs. 122/2020 in vigore dal 30 settembre, a differenza dei principali Paesi europei (ad esempio Francia e Germania) che hanno adeguato già da tempo le proprie disposizioni domestiche.

Vediamo cosa prevede la norma in questione.

Innanzitutto, vengono delimitati con maggiore rigore i casi di distacco transnazionale per il tramite delle agenzie di somministrazione, nell’intento di evitare un ricorso abusivo a tali strutture (spesso create solo ad arte) al fine di by-passare le regole previste nei distacchi degli altri lavoratori.

Per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di occupazione, è precisato che il riferimento è da intendersi ai contratti collettivi nazionali, con esclusione degli eventuali contratti aziendali. Una precisazione che appare non rispettosa del dettato comunitario: se la regola è quella di applicare ai distaccati stranieri le stesse regole vigenti per gli altri dipendenti che lavorano presso il distaccatario, laddove qui si applichi un contratto aziendale che, entro ovvi limiti, sia parzialmente peggiorativo del Ccnl, si potrebbero verificare comunque problematiche di dumping.

Viene, poi, imposto l’obbligo (e non solo la possibilità) di mantenere nel Paese ospitante le eventuali condizioni di miglior favore eventualmente previste nel Paese di partenza dei dipendenti distaccati.

Un’altra precisazione attiene alla natura retributiva da attribuire alle indennità di distacco che non sono pagate per rimborsare le sole spese di viaggio, vitto e alloggio, effettivamente sostenute a causa del distacco.

L’obbligo di assicurare le ferie viene meglio ridefinito nel rispetto di quanto stabilito dai Ccnl, imponendo l’onere di garantire, più in generale, tutti i periodi di congedo previsti.

Con riferimento alla durata del distacco, ferma restando l’applicazione pedissequa della direttiva di cui si è detto (12 mesi, salvo deroghe eccezionali fino a 18 mesi), si chiarisce che, in caso di sostituzione di uno o più lavoratori distaccati per svolgere le medesime mansioni nello stesso luogo, la durata è determinata dalla somma di tutti i periodi di lavoro prestato dai singoli lavoratori. L’identità delle mansioni svolte nel medesimo luogo è valutata tenendo conto anche della natura del servizio da prestare, del lavoro da effettuare e del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa. In merito alla nuova disposizione concernente la durata del distacco, pare appena il caso di rilevare come ci troviamo di fronte a un vulnus legislativo, posto che il decreto non prevede una regola transitoria che vada a disciplinare con esattezza le situazioni in corso che prevedono una durata oltre soglia, già regolarmente autorizzata in precedenza.

Giro di vite alle sanzioni nelle ipotesi di distacco illegittimo/fittizio, laddove dalle informazioni fornite non si rilevi quali condizioni di lavoro e occupazione siano applicabili alla particolare fattispecie oggetto di controllo.

Viene anche specificato che, per tariffe salariali da garantire, si intendono tutte le voci retributive previste nei Ccnl (ma, di fatto, era già così).

Infine, viene ribadita la clausola che prevede l’esenzione dalla normativa in questione per le prestazioni transnazionali di servizi nel settore del trasporto su strada. Ciò detto, il nodo principale resta quello connesso all’effettiva applicazione pratica delle sanzioni. Pare superfluo rappresentare che qualunque sia la disposizione prescritta, se la sua violazione non è adeguatamente sanzionata, o comunque, se le sanzioni, di fatto, rimangono inapplicate pressoché totalmente, tutto il sistema appare inutile e non in condizioni di raggiungere gli scopi prefissati. Il datore di lavoro onesto, per quanto – è ovvio – non disdegni certo di ottenere tutti i risparmi che la legge gli consente di avere, non ha come obiettivo quello di sfruttare il proprio personale, contribuendo così ad aumentare le già attualmente rilevanti situazioni di dumping sociale che il Parlamento europeo combatte; se non altro per elementari motivazioni etiche. Viceversa, il “furbetto” farà di tutto per strutturare framework societari internazionali che, alla peggio, gli consentano di non subire alcuna concreta sanzione economica nel proprio Paese di stabilimento. Un esempio tipico è quello dei gruppi che costituiscono un’agenzia di somministrazione in nazioni dove le Autorità di competenza sono alquanto “morbide”, i carichi fiscali irrisori e la libertà contrattuale praticamente assoluta (una a caso, l’Irlanda), per poi inviare dipendenti somministrati in distacco transnazionale, a condizioni di lavoro assolutamente inadeguate, sapendo che, al più, il contratto verrà loro annullato, ma senza materialmente dover pagare in “casa” le salatissime sanzioni economiche stabilite nella direttiva comunitaria.

Ebbene, nonostante il nostro legislatore, con questo decreto, in ossequio alle indicazioni dell’UE, abbia ulteriormente incrementato adempimenti e obblighi di segnalazioni tra l’Ispettorato, il Ministero e le corrispondenti Autorità di vigilanza degli altri Stati membri, appare in pratica pressoché impossibile colpire effettivamente i disonesti, a causa delle regole vigenti nei differenti sistemi giudiziari stranieri, specie se si ha poi a che fare con Paesi extra-UE.

Insomma, un sistema che, così com’è impostato, a parere di chi scrive non regge alla prova pratica e non sembra affatto in grado di vincere la battaglia contro il dumping.

* Odcec Roma

 

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