Modelli 231: L’area lavoro nella progettazione e applicazione

Di Massimiliano Dell’Unto* 

Nei primi mesi dell’anno ci sono stati due interessanti interventi su criticità e prospettive dei modelli organizzativi ex decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”. Il primo è un documento approvato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili; il secondo è un rapporto predisposto da Assonime. Entrambi, oltre al contributo pratico di chiarimenti operativi nell’applicazione della normativa, esprimono un pensiero trasversale ai soggetti coinvolti: sussistono ad oggi criticità normative e giurisprudenziali che ostacolano la diffusione dei modelli 231 per cui le imprese destinatarie ed i professionisti coinvolti nella loro progettazione e gestione li traducono come un mero aggravio di costi senza percepirne i benefici. Vengono quindi indicati una serie di interventi di possibile modifica alla normativa affinché questi modelli possano trovare nuovo appeal nel mondo imprenditoriale poiché la loro utilità non è assolutamente messa in dubbio.

Considerata la doglianza circa l’assenza di un comportamento proattivo dell’impresa verso il modello 231 risulta interessante una breve riflessione sul coinvolgimento dell’area di gestione del personale dipendente, con particolare attenzione alle dinamiche delle PMI.

L’area lavoro riveste un ruolo fondamentale nel modello 231, come anche nella revisione legale, poiché se superiamo la visione semplicistica del dato numerico del budget del personale e dell’organico aziendale, essa nella sua accezione dinamica è il punto di partenza del sistema di controllo interno. Si tratta delle persone e dei rapporti gerarchici su cui si costruiscono le procedure aziendali ed i relativi controlli. Progettare, o ristrutturare, il sistema delle risorse umane aziendale affinché sia basato su dinamiche virtuose è da un lato beneficio autonomo per l’impresa ma allo stesso tempo è anche presupposto importante per un approccio proattivo verso l’inserimento dell’azienda nel contesto di modelli organizzativi ex d.lgs. n. 231/2001. Nella positiva convinzione che le osservazioni emerse nei primi mesi dell’anno circa gli interventi possibili per rilanciare lo strumento trovino una qualche traduzione nella normativa, occorre dare impulso nelle imprese a graduali evoluzioni dell’area lavoro affinché possano trovarsi preparate ad accogliere i massimi benefici quando anche il sistema normativo renderà per loro meno incerto il modello 231.

Il punto di partenza è sicuramente la definizione di un dettagliato organigramma. Questo strumento, se ben strutturato, è alla base della comprensione della struttura aziendale; da esso si ricavano dati numerici sull’organico aziendale, la collocazione gerarchica dei soggetti, la suddivisione delle business unit e la collocazione delle risorse al loro interno, l’eventuale distribuzione geografica dell’attività, la dinamica dei flussi informativi. L’organigramma impone all’interno dell’azienda la suddivisione dei compiti e delle responsabilità, definendo conseguentemente le procedure da seguire; mentre fornisce all’organismo di vigilanza la mappa sui cui riscontrare il funzionamento del controllo interno. Talvolta, se i processi produttivi sono ben delineati nel documento, il soggetto esterno è in grado anche di comprendere eventuali fenomeni di outsourcing e, in ottica modello 231, definire la gestione con le parti terze.

La corretta rappresentazione della gerarchia aziendale dovrebbe permettere un’immediata individuazione dei soggetti in posizione apicale con particolare riferimento alle figure operanti in “unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale”. In merito la normativa accenna ai direttori di stabilimento che però necessitano di attenta rappresentazione nell’organigramma e nelle procedure collegate poiché nelle realtà aziendali possono trovarsi varie connotazioni non necessariamente esonerate da direzione e vigilanza da parte di vertici superiori. L’inversione dell’onere della prova previsto all’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001 nel caso in cui il reato sia commesso da soggetti apicali deve far riflettere attentamente nella progettazione dei ruoli aziendali e nella rappresentazione in organigramma.

Nelle PMI riscontriamo frequentemente l’assenza totale di una minima formalizzazione dell’organigramma; la suddivisione dei ruoli la si evince da quanto riportato nei contratti di assunzione.

Si assiste quasi alla presenza di figure “mistiche”, non necessariamente coincidenti con l’imprenditore, che ricoprono ruoli in maniera trasversale a tutto lo schema funzionale dell’azienda. In questi casi, il percorso di preparazione ad un’eventuale applicazione del modello 231 è sicuramente più impegnativo e graduale: la scrittura dell’organigramma va di pari passo alla diffusione di una cultura aziendale più evoluta. I benefici di questo atteggiamento però sono molteplici. Se l’implementazione di un modello organizzativo 231 può esser il traguardo più alto, l’impresa in tempi più rapidi acquisisce benefici in termini di applicazione del sistema disciplinare e di controllo di gestione.

Il substrato che l’impresa deve creare per potersi approcciare al meglio ai modelli 231 non può prescindere anche dalla formulazione di un organico sistema disciplinare in grado di recepire le norme legali e di contrattazione collettiva integrandole con le eventuali esigenze specifiche aziendali. L’implementazione di un proprio regolamento disciplinare progettato già per quanto possibile nell’ottica di una futura applicazione nell’ambito del modello organizzativo 231 può consentire al modello stesso di farlo proprio con minime variazioni. In questo modo, gli aspetti di aggiornamento della modulistica aziendale e le procedure di informazione e formazione inerenti il modello stesso si possono inserire su schemi funzionali già avviati riducendo sostanzialmente l’onere percepito dall’azienda per l’applicazione del modello 231.

In un necessario percorso evolutivo della cultura aziendale, che coinvolga necessariamente anche le PMI, il modello organizzativo ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 rappresenta un traguardo ambizioso ma necessario. Uno dei compiti del professionista dell’area lavoro, anche in considerazione del ruolo sociale insito nella figura del Dottore Commercialista, è sicuramente quello di stimolare l’impresa nella modifica della cultura aziendale affinché possa comprendere e condividere un percorso che le dia gli strumenti, in questa sede abbiamo accennato a quelli dell’area lavoro, idonei ad un approccio non traumatico ai meccanismi di corporate governance e gestione dei rischi.

* Odcec Pisa


1.“Principi consolidati per la redazione dei modelli organizzativi e l’attività dell’organismo di vigilanza e prospettive di revisione del d.lgs. 8 giugno 2011, n. 231”, CNDCEC, Dicembre“Prevenzione e governo del rischio di reato”, Assonime, Note e Studi 5/2019.
2.“Prevenzione e governo del rischio di reato”, Assonime, Note e Studi 5/2019.
3.Nell’ambito dell’evoluzione dell’interpretazione dei soggetti a cui è applicabile la normativa del Lgs n. 231/2001 si ricorda che la Corte di Cassazione, sentenza n. 15657, depositata il 21/04/2011, evidenzia come talune impresse individuali ricorrono ad un’organizzazione interna complessa tanto che è configurabile talvolta la responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore; ed il mancato riferimento alle imprese individuali nella normativa viene interpretato come una inclusione nei soggetti destinatari dei modelli 231.
4.“L’adozione di modelli organizzativi ai sensi del lgs. 1 e la disciplina aziendale” di Marco D’Orsogna Bucci, 09/02/2017.
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