Lettera di contestazione disciplinare e falsità della firma

di Cesca Roldano * 

La sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma del 26/07/2019 n° 3888 contiene, tra le altre cose, una importante decisione circa la formulazione della contestazione di addebito al lavoratore.

Innanzitutto l’art. 7 comma 2 della legge 20 maggio 1970, n. 300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, Statuto dei lavoratori, impone al datore di lavoro di contestare preventivamente e per iscritto (fatto salvo il rimprovero verbale ovviamente) la mancanza disciplinare e di sentire a difesa il lavoratore. Soggetti legittimati a contestare gli addebiti, oltre al rappresentante legale/titolare dell’azienda, possono essere:

  • il superiore gerarchico del lavoratore che, anche senza delega, rappresenta il datore di lavoro;
  • chi si occupa dei trattamenti del personale in base all’organizzazione aziendale.

è comunque esclusa la necessità di un conferimento specifico di poteri da parte della proprietà per l’esercizio del potere disciplinare e, da ultimo, la procedura disciplinare può essere conclusa anche da persona diversa da chi ha contestato la mancanza disciplinare.

Detto ciò la sentenza in questione esamina il ricorso di un dipendente che veniva licenziato per giusta causa e questi chiedeva il ripristino del posto di lavoro, in particolare per violazione della procedura prevista dall’art. 7 della legge n. 300/70 a seguito dell’accertata e dichiarata falsità delle firme apposte alle lettere di contestazione disciplinare e quindi della loro inesistenza giuridica.

Il Giudice, tuttavia, ha respinto il ricorso in quanto ha ritenuto che tale vizio non compromettesse la validità del licenziamento, in quanto il datore di lavoro aveva successivamente ratificato gli effetti di tali atti, con efficacia retroattiva ed ai sensi dell’art. 1399 c.c., attraverso diversi e successivi comportamenti concludenti. Nello specifico si è ritenuto che i documenti muniti di firma falsa fossero comunque riferibili al datore di lavoro, oltre che indubbiamente provenienti dalla sfera giuridica dello stesso, ma si è soprattutto evidenziato come la successiva lettera di licenziamento fosse stata regolarmente firmata dal rappresentante legale dell’azienda il quale si è poi costituito in giudizio nel processo instaurato dal lavoratore. Tali fatti, a parere del Giudice, hanno determinato l’avvenuta ratifica degli effetti dei documenti muniti di firma irregolare.

La sentenza ricorda inoltre come l’art. 1933 c.c., che prevede la possibilità di ratifica con effetto retroattivo, del contratto concluso dal soggetto privo del potere di rappresentanza, risulti applicabile in ugual modo ai negozi unilaterali come il licenziamento.

Quanto sopra può ritornare utile, anche se le firme in quanto tali devono essere originali.

* Odcec Macerata e Camerino

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