Quando l’ossimoro ti toglie il lavoro

di Bruno Anastasio*, Paride Barani*, Maurizio Centra*, Cristina Costantino* e Graziano Vezzoni* 

Ci sono professioni talmente antiche che è quasi impossibile stabilire con certezza quando siano “nate”, basti pensare alla professione medica, che risale al V secolo avanti Cristo, ossia poche centinaia di anni dopo la fondazione di Roma, che è del 753 avanti Cristo, ma anche alla professione legale, che proprio nell’antica Roma trovò le sue prime regole, nel 204 avanti Cristo ad esempio con la lex Cincia, in base alla quale gli avvocati non potevano ricevere doni prima di trattare una causa, a tutela dell’assistito, ma la più antica delle professioni intellettuali è in assoluto quella economico contabile, che risale all’antico Egitto. Dallo Scriba egizio al Procurator a rationibus romano intercorrono oltre mille anni, nel corso dei quali gli economisti hanno contribuito al progresso non solo delle materie di loro competenza ma anche agli scambi commerciali e alla convivenza tra i popoli.

Con il passare del tempo la professione economico contabile ha progressivamente assunto le caratteristiche che oggi conosciamo, passando per alcune “tappe fondamentali” come l’istituzione nel 1581 a Venezia del Collegio dei Rasonati, cui fece seguito nel 1742 a Milano la costituzione del primo Collegio dei Ragionieri, che tra i suoi scopi ne aveva alcuni attuali ancora oggi, come la rappresentanza degli iscritti, l’affermazione della professione e il contrasto all’abusivismo. Poi nel 1906 venne promulgata la Legge sull’esercizio della professione di Ragioniere e circa mezzo secolo dopo furono istituiti simultaneamente gli ordini dei Dottori Commercialisti (d.p.r. 1067/1953) e dei Ragionieri (d.p.r. 1068/1953), che dal 1 gennaio 2008 sono confluiti nell’attuale Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (d.lgs. 139/2005).

Nella loro lunga storia i Commercialisti ne hanno viste di “tutti i colori” e, qualunque sia la loro specializzazione, sono abituati a gestire situazioni complesse ma, negli ultimi anni, hanno subito una riduzione del proprio ambito di competenza, che ha riguardato in modo particolare gli esperti in materia di lavoro. Dall’avvento dei CAF – Centri di assistenza fiscale (legge 30 dicembre 1991, n.413) ai giorni nostri talune attività tipiche dei Commercialisti sono svolte da altri soggetti, anche diversi da professionisti abilitati, e in alcuni casi ai Commercialisti sono state addirittura precluse.

Nell’arco di 25 anni una categoria che vanta oltre 119 mila iscritti in Italia ha subito non solo le alterne vicende economiche del nostro Paese ma anche la riduzione dell’attività a causa di scelte legislative non casuali. L’istituzione dei CAF ha prodotto un mercato che prima non esisteva, gestito in massima parte dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Alla considerazione che i CAF avrebbero ridotto almeno in parte il lavoro dei Commercialisti, questi si sono sentiti ripetere per anni che le attività affidate ai CAF sono a basso valore aggiunto, pertanto avrebbero dovuto rallegrarsi di avere più tempo da dedicare alla consulenza, che è più qualificante oltre che remunerativa e, alla fine, ci hanno creduto. Nel frattempo lo stato e gli enti pubblici, alle prese con pressanti esigenze di riduzione delle spese, hanno gradualmente affidato agli utenti, in primis a imprenditori e professionisti, alcune delle loro attività tipiche e, grazie alle soluzioni offerte dall’information technology, si sono affrancati da vari compiti di rilevante portata operativa, come l’acquisizione e l’elaborazione delle dichiarazioni fiscali, delle denunce delle retribuzioni ai fini previdenziali e assistenziali, delle pratiche amministrative più diffuse, come la redazione del Bilancio con la Tassonomia XBRL e di quasi tutte le comunicazioni obbligatorie. Che la pubblica amministrazione del nostro Paese sia sempre più efficiente è un obiettivo auspicabile, ma il prezzo del relativo processo di miglioramento non è pagato da tutti in egual misura, i Commercialisti, ad esempio, per i così detti invii telematici sono costretti a sostenere spese ulteriori rispetto a quelle ordinarie, al solo scopo di dotarsi degli strumenti software e delle risorse umane necessari a tal fine.

I Commercialisti esperti in materia di lavoro sembrano essere i più “colpiti” dal fenomeno della riduzione del proprio ambito di competenza e non solo a causa dei CAF. A mero titolo esemplificativo si può ricordare che:

  • il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 ha introdotto (art. 75) nel nostro ordinamento l’istituto della certificazione dei contratti di lavoro (al fine di ridurre il contenzioso) e, tra gli organi della certificazione (art. 76), non ha previsto gli ordini territoriali dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. Tale scelta del legislatore, che potrebbe essere condivisa se riguardasse tutte le categorie professionali legalmente competenti in materia di lavoro, ha determinato una ingiustificata deminutio capitis per i Commercialisti, ancor più grave se si considera che le sedi di certificazione sono competenti a certificare anche le rinunzie e transazioni di cui all’articolo 2113 del codice civile a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse;
  • il decreto legislativo 10 settembre 2003, 276, inoltre, ha previsto (art. 3) un regime unico di autorizzazione per i soggetti che svolgono attività di somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale e stabilito dei regimi particolari di autorizzazione (art. 6), consentendo solo all’Ordine nazionale dei Consulenti del lavoro di chiedere l’iscrizione all’albo di cui all’articolo 4 della stessa norma (agenzie per il lavoro) di una apposita fondazione o di altro soggetto giuridico dotato di personalità giuridica per lo svolgimento a livello nazionale di attività di intermediazione. Sebbene la massima aspirazione dei Commercialisti probabilmente non sia quella di svolgere l’intermediazione in materia di lavoro, è alquanto singolare che il legislatore si sia dimenticato di loro che, notoriamente, assistono le imprese con il maggior numero medio di lavoratori subordinati;
  • la legge 28 giugno 2012, n. 92, con l’art. 1, comma 40, ha modificato l’art. 7 della legge n. 604/1966, affidando alla Commissione provinciale di conciliazione istituita presso la competente Direzione territoriale del lavoro (Dtl), oggi Ispettorato territoriale del lavoro (Itl), ai sensi dell’art. 410 del codice di procedura civile, il compito di espletare un tentativo di conciliazione in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e previsto che, a tal fine, “Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro”. Anche questa norma, senza motivo apparente, non prevede i Commercialisti tra coloro che possono assistere le parti, quindi il datore di lavoro e il lavoratore, nonostante la loro competenza in materia di lavoro, risalente al 1953, sia stata confermata dalla legge 12/1979 e dal d.lgs. 139/2005;
  • il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, in materia di lavoro subordinato, ha previsto che le dimissioni del lavoratore debbano essere presentate mediante apposita procedura telematica, a tutela del lavoratore stesso, e che la trasmissione dei relativi moduli al Ministero del lavoro e delle politiche sociali (lavoro.gov. it) può avvenire anche per il tramite dei patronati, delle organizzazioni sindacali, dei consulenti del lavoro, delle sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro nonché degli enti bilaterali e delle commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del d.lgs. 276/2003. Come mai da questo (discutibile) adempimento siano stati esentati i Commercialisti che, senza offesa per le dimissioni del lavoratore, ogni giorno inviano telematicamente allo stato e agli enti pubblici migliaia di atti di gran lunga più complessi è un mistero, anche se le conseguenze in termini pratici e di immagine sono decisamente negative per la categoria;
  • la legge 27 dicembre 2017, n. 205 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020”, all’art. 1, commi 801 e 803 ha previsto per gli iscritti all’albo informatico delle agenzie per il lavoro e agli iscritti all’albo nazionale dei soggetti accreditati ai servizi per il lavoro, di accedere alla banca dati dell’ANPAL (sistema informativo unitario) al fine di verificare i dati relativi alle persone in stato di disoccupazione o a rischio di disoccupazione. I Commercialisti, al momento, non possono accedere a questa banca dati, che è necessaria per appurare l’esistenza di requisiti personali che consentono di usufruire di agevolazioni, in quanto il decreto legislativo 276/2003 non li ha inclusi nell’Art. 6 “Regimi particolari di autorizzazione”.

Ma non è solo il legislatore a sottovalutare l’attività dei Commercialisti in materia di lavoro, infatti nel 2014 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha sottoscritto con il Consiglio nazionale dei Consulenti del lavoro un protocollo d’intesa in materia di asseverazione della regolarità contributiva e retributiva delle imprese (Asse.Co), in base al quale tale Consiglio nazionale, sulla base di due dichiarazioni di responsabilità: una del datore di lavoro sulla non commissione di illeciti nell’anno precedente e l’altra del Consulente del lavoro sulla sussistenza dei requisiti per il rilascio del Durc (Documento unico di regolarità contributiva) e sul rispetto della contrattazione collettiva, rilascia l’asseverazione. Senza entrare nel merito di questa ulteriore asseverazione, se la stessa ha una concreta funzione in termini di difesa della legalità, è ragionevole affermare che il Ministero avrebbe dovuto proporre il medesimo protocollo anche alle altre due categorie competenti in materia, ossia Avvocati e Commercialisti.

Alla luce di quanto è accaduto negli ultimi cinque lustri, si dovrebbe dedurre che sono gli stessi Commercialisti a ignorare il loro “peso” professionale in materia di lavoro. Al riguardo è appena il caso di ricordare che:

  • in base ai dati rilevati dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) nel mese di luglio 2017 i Commercialisti e gli Esperti Contabili registrati nel sistema informatico dell’Istituto sono 743, di cui 27.254 hanno eseguito almeno un accesso negli ultimi 12 mesi, le ditte attive da loro gestite (delega) ammontano a 1.166.500 e per 946.818 delle stesse hanno trasmesso l’ultima dichiarazione dei salari;
  • in base ai dati rilevati dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) i Commercialisti e gli Esperti Contabili registrati nel portale Inps come intermediari sono 22.000 circa.

I Commercialisti che si occupano della materia del lavoro sono tanti ma, per qualche arcano motivo da troppo tempo “corrono sul posto” e non ottengono risultati correlati alla potenza impiegata, ma la loro corsa immobile è ahinoi rafforzata dal fragoroso silenzio su questa negletta materia delle istituzioni della categoria!

Considerato che la rappresentanza istituzionale della categoria dei Commercialisti spetta, ai sensi del d.lgs. 139/2005, al Consiglio nazionale, il quale ha tra le sue funzioni anche quelle di promuove i rapporti con le istituzioni e le pubbliche amministrazioni, formulare pareri sui progetti di legge e di regolamento che interessano la professione nonché coordinare e promuovere i Consigli territoriali per favorire le iniziative tese al miglioramento e al perfezionamento professionale, talune “disattenzioni” del legislatore e di alcuni enti pubblici probabilmente non si sarebbero verificate se proprio il Consiglio nazionale avesse valorizzato e messo a disposizione delle istituzioni le competenze specialistiche dei Commercialisti in materia di lavoro nei momenti opportuni.

Quella che appare necessaria, al momento, è un’iniziativa di tutela concreta della professione, che non prescinda né dall’affermazione dei principi etici che fanno dei Commercialisti i tutori della legalità né dalla difesa della dignità professionale, che di frequente è offesa da compensi ridicoli o da richieste di prestazioni di competenza altrui. Con un’iniziativa del genere, sorretta dall’azione sinergica di singoli e istituzioni, i Commercialisti possono allontanarsi dal ghiaccio bollente sul quale stanno correndo, evitando così che gli ossimori continuino a portargli via il lavoro!

* Redattore esecutivo de Il Commerci@lista lavoro e previdenza

 

 

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