Stabile organizzazione e licenziamento: per la tutela reale vale solo la sede in Italia

di Marialuisa De Cia * e Emilia Scalise** 

Oggi la libertà di soggiorno e la libertà di circolazione in ambito comunitario costituiscono un fenomeno di estrema rilevanza, anche per quanto concerne la movimentazione dei lavoratori. Sono, infatti, sempre più presenti nel nostro territorio, sedi secondarie di società straniere identificate dalla giurisprudenza comunitaria come “centri operativi che si manifestano in modo duraturo verso l’esterno come un’estensione della casa-madre, provvisti di direzione e materialmente attrezzati, in modo da poter trattare autonomamente affari con terzi”. Nonostante la presenza di una sostanziale legislazione sulla regolazione del rapporto nei confronti di coloro che svolgono la propria prestazione lavorativa per le sedi secondarie (basti pensare alla legge 31 maggio 1995, n. 218 sulla “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”), la crescita così avanzata di queste realtà, tuttavia, ha fatto emergere numerose criticità, non tanto sulla legislazione applicabile, quanto sulla portata delle singole disposizioni.

Di estrema rilevanza e delicatezza è il tema del licenziamento, soprattutto in relazione alla determinazione delle soglie dimensionali per l’applicazione delle tutele di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 «Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, Statuto dei lavoratori e, ora, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”. Le norme in questione non specificano se il calcolo dimensionale dei dipendenti debba effettuarsi considerando solamente il personale impiegato nel territorio italiano ovvero se si debba considerare l’organico dell’impresa nel suo complesso e, dunque, valutando anche i lavoratori assunti nelle altre sedi all’estero.

In  presenza  di  una  lacuna  normativa  di  tale portata, i giudici di legittimità sono intervenuti sull’argomento con la sentenza n. 19557 del 30 settembre 2016, individuando quali tutele applicare ai dipendenti che prestano la propria attività  sul  territorio  nazionale  a  favore  di società straniere. Dispone la Suprema Corte: “ai fini dei presupposti applicativi della disciplina in materia di licenziamento non possono essere computati nell’organico i dipendenti delle sedi estere dell’azienda, in quanto è lo stesso art. 18 che evoca un parametro, territoriale e amministrativo (il comune) squisitamente nazionale”.   Il   caso   deciso   riguardava   una dipendente di una società olandese assunta in Italia presso la sede secondaria e licenziata per giustificato  motivo  oggettivo.  Al  momento del   licenziamento,   la   lavoratrice   licenziata risultava   essere   l’unica   dipendente   della sede  secondaria  italiana.  La  stessa,  chiedeva l’applicabilità   del   regime   di   tutela   di   cui all’art.  18  della  legge  300/1970  eccependo i  requisiti  dimensionali  considerati  a  livello transnazionale.  Analizzando  in  concreto  la fattispecie,   appare   evidente   che   l’oggetto del  contendere  non  è  tanto  la  legislazione applicabile, risulta pacifico che la legislazione applicabile     sia   quella   italiana,   quanto   la delimitazione applicativa della legge nazionale. Più nello specifico, se si debba considerare il limite territoriale nazionale ovvero travalicare i  “confini”.

la  corte  di  cassazione  ha inquadrato la fattispecie nell’ambito delle norme  internazional-privatistiche  e  delle disposizioni civilistiche.

La tesi sostenuta dai giudici di legittimità verte sui punti di seguito illustrati.

– Primo punto: dal tenore letterale dell’articolo 25 della legge 31 maggio 1995, n. 218 “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato” e dell’articolo 2508 cod. civ. emerge che il requisito dimensionale debba considerarsi esclusivamente con riferimento al territorio nazionale, in quanto la sede secondaria di una società estera ha una propria autonomia rilevante, “come se da sola formasse una società costituita e operante in Italia”, al punto che ad essa si applicano non solo le norme relative all’esercizio dell’impresa, ma anche il regime di pubblicità dei terzi che con essa vengano in contatto negoziale. La sede secondaria, quindi, pur non avendo personalità giuridica autonoma rispetto alla casa-madre, attiene ad un diverso regime giuridico per diversi aspetti. Conseguentemente, per analogia, i presupposti applicativi della legge nazionale nel caso in oggetto, non possono che essere quelli esclusivamente presenti in Italia e non all’estero.

– Secondo punto: lo stesso articolo 18 della legge 300/1970, in particolare al comma 8, nel riferirsi all’ambito territoriale del comune (“…nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti”), evoca parametri strettamente territoriali e nazionali.

A parere di chi scrive, l’orientamento dei giudici appare condivisibile ed appropriato. Un’interpretazione pressoché differente, potrebbe portare ad un utilizzo distorto e ad una difficile applicazione di altri istituti (quali ad esempio la determinazione della soglia dimensionale per l’assunzione obbligatoria di disabili), nonché delimitare o rendere difficoltosa la stessa libertà di circolazione e stabilimento in ambito europeo per le società straniere o, peggio ancora, disincentivare gli investimenti stranieri nel nostro Paese.

La sentenza in oggetto merita particolare attenzione anche per essersi pronunciata in ambito giurisdizionale, prevedendo la possibilità di riconoscere la tutela obbligatoria di cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604 “Norme sui licenziamenti individuali” nel c.d. “Rito Fornero”: secondo la Cassazione, infatti, una volta esclusa l’applicabilità della tutela reale dell’articolo 18 della legge 300/1970 per assenza del requisito dimensionale, il giudice è tenuto a pronunciarsi sulla legittimità ai fini della tutela obbligatoria di cui all’art. 8 della legge 604/1966, non assumendo alcuna rilevanza le caratteristiche di celerità del rito Fornero. In conclusione si ritiene che, a fronte di un quadro normativo in costante evoluzione, l’orientamento dei giudici di legittimità risulta attuale e conseguentemente applicabile anche con riferimento alle nuove tutele introdotte dal Jobs Act, per le assunzioni con contratto a tutele crescenti effettuate dal 7 marzo 2017.

* Odcec Milano

** Consulente del lavoro Milano

 

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