LICENZIAMENTO ANNULLATO MA NIENTE REINTEGRA E NEMMENO INDENNITÀ SOSTITUTIVA SE SI BENEFICIA DEL TRATTAMENTO PENSIONISTICO
Cassazione, sez. lav., ordinanza dell’8 aprile 2025, n. 9284
La Corte di Cassazione è tornata sul tema – sempre più di attualità – del rapporto esistente tra il diritto del lavoratore ad essere reintegrato in servizio e la maturazione – da parte del medesimo lavoratore – del requisito pensionistico.
Un lavoratore in favore del quale era stato giudizialmente accertato (con sentenza del 2015) il diritto alla reintegrazione esercitava successivamente il diritto di opzione, proponendo (con ricorso depositato nel 2019) un secondo giudizio avverso il datore di lavoro per ottenere il pagamento dell’indennità sostitutiva ex art. 18, comma 4° dello Statuto dei Lavoratori.
Il Tribunale di Cosenza prima e poi la Corte d’Appello di Catanzaro accoglievano le richieste del lavoratore, senza tuttavia considerare che, nel frattempo, questi aveva raggiunto i requisiti pensionistici e aveva iniziato a beneficiare del relativo trattamento già nel 2017.
Questo è il tema centrale della vicenda in commento. Difatti, ad avviso della Società ciò costituiva una circostanza determinante e sufficiente ad escludere l’applicazione dell’art. 18 S.L.
La Società pertanto ricorreva per Cassazione dolendosi del fatto che i giudici di merito non avessero tenuto conto del fatto che il lavoratore fosse già titolare di pensione di vecchiaia: questa circostanza, cioè, avrebbe dovuto escludere sia il diritto alla reintegra che quello all’indennità sostitutiva, quanto meno dalla data di accesso alla pensione.
La Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso della società.
La Corte ha infatti affermato che l’effettivo godimento della pensione di vecchiaia può costituire un comportamento concludente idoneo a escludere la reintegrazione. La richiesta e l’ottenimento del trattamento pensionistico da parte del lavoratore ben può essere qualificata come implicita manifestazione della volontà di porre fine al rapporto di lavoro. In questo caso, la reintegrazione sarebbe quindi impossibile per un fatto che non è più imputabile al datore di lavoro, bensì al lavoratore.
Di talché, ad avviso della Corte, anche l’indennità sostitutiva – il cui presupposto sarebbe costituito dall’attualità del diritto alla reintegra – non può essere riconosciuta.
E ciò anche perché, ad avviso della Suprema Corte, la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare se il lavoratore fosse effettivamente andato in pensione e se ciò avesse costituito una causa ostativa alla reintegrazione.
L’omissione di tale accertamento ha quindi determinato la cassazione della sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Catanzaro.
La pronuncia è certamente rilevante perché riconosce che il raggiungimento dei requisiti pensionistici e la fruizione della pensione possono indicare una volontà, anche implicita, del lavoratore di cessare il rapporto di lavoro. L’esistenza di tale volontà va però necessariamente valutata in concreto e caso per caso.
di Bernardina Calafiori e Eleonora Ilario
Avvocati Studio Legale Daverio & Florio
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