NELLA QUALIFICAZIONE DEL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA O PER GIUSTIFICATO MOTIVO SOGGETTIVO È DETERMINANTE LA VALUTAZIONE DEL GIUDICE IN PUNTO DI GRAVITÀ DELL’INADEMPIMENTO DEL LAVORATORE (CASS., SEZ. LAV., 24.03.2025 N. 7825)
di Bernardina Calafiori e Alessandro Montagna
Con la pronunzia in commento (Cass., sez. lav., n. 7825 del 29.01.2025, depositata il 24.03.2025), la Suprema Corte di Cassazione ha colto lo spunto per confermare, nell’ambito dell’iter motivazionale sotteso alla decisione in esame, una serie di fondamentali principi in materia di licenziamento disciplinare del dipendente.
Chiamata a stabilire se il licenziamento di un dipendente, colpevole di avere reiteratamente violato una serie di disposizioni datoriali in ordine al corretto uso degli strumenti informatici assegnati ai dipendenti per ragioni di servizio, fosse qualificabile come recesso datoriale per giusta causa ovvero per giustificato motivo soggettivo, la Suprema Corte ha fissato i seguenti principi di diritto:
(i) che, al fine di stabilire se il licenziamento del dipendente sia fondato su giusta causa ovvero su giustificato motivo soggettivo, rileva la gravità dell’inadempimento ascritto al dipendente, posto che la relativa valutazione “… si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento addebitato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (giustificato motivo soggettivo: n.d.r.) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (giusta causa: n.d.r.) …”;
(ii) che, al fine di pervenire alla qualificazione del licenziamento per “giusta causa”, e dunque ex art. 2119 c.c., ovvero per “giustificato motivo soggettivo”, e dunque ex art. 3 legge 604 del 15.07.1966, le esemplificazioni dei casi che integrano l’una ovvero l’altra causa di recesso all’interno dei contratti collettivi non sono vincolanti, atteso che il relativo elenco ha “… una valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito …”;
(iii) che, atteso che “giusta causa” e “giustificato motivo soggettivo”, come sopra individuati, si differenziano sul piano meramente quantitativo, pur essendo idonee, entrambe le qualificazioni, a fondare il recesso datoriale, deve ritenersi “… certamente ammissibile, anche in sede d’impugnazione, la conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo …”.
(iv) che l’esito favorevole per il dipendente del giudizio di impugnazione del suo licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo determina, in esito alla ricostituzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità dal giorno del recesso datoriale (e, dunque, non in caso di tutela indennitaria), il diritto alla percezione delle retribuzioni eventualmente non corrisposte dal datore di lavoro durante il periodo di allontanamento cautelare dal servizio.
Si tratta, come detto, di principi di diritto consolidati, che la Suprema Corte ha inteso ribadire con nettezza nella pronunzia in commento, dai quali non è dato prescindere ai fini di una regolare instaurazione del procedimento disciplinare che “sfoci” nel licenziamento, immediato ovvero con preavviso, del dipendente.