I COMMERCIALISTI DEL LAVORO: REGISTI SILENZIOSI DEL CAPITALE UMANO

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di Domenico Calvelli*

C’è un filo rosso che unisce numeri e persone, conti economici e diritti sociali, payroll e dignità del lavoro: quel filo viene tenuto saldo dai commercialisti che hanno scelto di muoversi nell’area giuslavoristica. Li incontriamo sui palchi dei convegni ma, ancora più spesso, ogni mese a chiudere prospetti paga che valgono più di qualunque bonus motivazionale; li vediamo bussare all’Ispettorato nazionale del Lavoro, parlare con funzionari INPS ed INAIL, predisporre modelli CU e, nello stesso tempo, suggerire piani di welfare che trasformano il costo in valore.

Il legislatore, con la Legge 12/1979 prima, con il D. Lgs. n. 139/2005 poi e con gli anteriori interventi sulla consulenza del lavoro, ne ha riconosciuto la piena abilitazione a svolgere tutte le attività di amministrazione del personale. La Cassazione, con la recente sentenza 3495/2024, ha confermato che la consulenza in materia del lavoro ha confini professionali nei quali rientrano i commercialisti. Ecco perché le aziende più virtuose scelgono la “doppia firma” del commercialista del lavoro: garanzia di un risultato contabile ineccepibile, ma anche di un percorso di legalità preventiva.

La cassetta degli attrezzi dovrebbe arricchirsi dell’Asse. Co. (Asseverazione di Conformità dei rapporti di lavoro), che dovrebbe diventare rilasciabile anche dai commercialisti iscritti alla sezione A. Il CNDCEC ha chiesto l’estensione ai propri iscritti e, dinnanzi all’inerzia dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, il TAR Lazio (sentenza 23 maggio 2025) ha ordinato all’INL di
esaminare l’istanza dei commercialisti entro 90 giorni.

È molto più di un bollino di regolarità: è un “passaporto” che, esibito in sede di gara o di rating di legalità, può far risparmiare alle imprese fino al 20 % dei contributi aggiuntivi. Affidare l’asseverazione a chi conosce già i flussi di bilancio significa abbattere costi duplicati e parlare una sola lingua con banche, stakeholder e Agenzia delle Entrate. Per questo i commercialisti meritano questo riconoscimento professionale, non foss’altro che ne hanno la completa competenza tecnica.

Merito dei commercialisti è anche l’aver riportato l’amministrazione del personale su un terreno di analisi integrata: il cedolino non è più un mero output, ma un cruscotto decisionale che incrocia fiscalità individuale, costo orario, incidenza degli oneri, margine di commessa. Grazie ai loro benchmark, molte PMI hanno potuto scegliere fra fringe benefit, premi di risultato e piani sharing, modellando soluzioni ad hoc invece di copiare standard calati dall’alto.

C’è poi la funzione “risk manager”. Nei verbali ispettivi leggiamo ancora sanzioni da omissione contributiva; eppure chi coinvolge in anticipo il commercialista vede trasformare i potenziali recuperi in regolarizzazioni bonarie, magari sfruttando i ravvedimenti operosi che lo stesso professionista elabora con proiezioni di cassa. Non è un caso che l’INL, nelle proprie linee guida, raccomandi di valutare l’esistenza di un presidio professionale continuativo prima di graduare le sanzioni.

In un contesto dominato dalla velocità normativa – centinaia di modifiche in materia di lavoro negli ultimi dieci anni – questi professionisti fungono da “traduttori simultanei”: scompongono la norma, la ricompongono in maschere di gestione e la trasferiscono in procedure aziendali che riducono al minimo il fattore errore. Il risultato? Meno contenzioso, più tempo per sviluppare capitale umano.

A differenza degli algoritmi, i commercialisti del lavoro posseggono qualcosa che non si automatizza: la capacità di mediare. Comprendono gli obiettivi del management ma ascoltano le esigenze dei lavoratori; sanno quando una rigidità formale rischia di minare il clima aziendale e quando, al contrario, un piccolo sforzo di compliance evita costi milionari. Il loro valore aggiunto resta generativo di soluzioni, non di documenti.

Infine, c’è la dimensione etica. Amministrare il personale non significa solo sommare ore o imputare contratti: significa misurare la sostenibilità di ogni scelta, dare conto al territorio di quanto l’impresa investe in benessere collettivo, contribuire a un mercato del lavoro che non lasci indietro nessuno.
Per questo l’apertura di questo numero è dedicata ai commercialisti del lavoro: un ringraziamento e insieme un invito a continuare su un sentiero di eccellenza che non riguarda solo i conti, ma le persone.

*Direttore Responsabile

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