SICUREZZA SUL LAVORO: criteri di identificazione del datore di lavoro
SICUREZZA SUL LAVORO: criteri di identificazione del datore di lavoro
di Raffaele Bergaglio*
In un settore del diritto come quello penale, dove tutto dovrebbe essere connotato da un livello di certezza tale da non lasciare dubbi interpretativi, non fosse altro che per le conseguenze che ne possono derivare, non è ancora del tutto pacifica la rosa soggettiva delle attribuzioni di responsabilità penale derivanti da infortuni sul lavoro.
Non vi è dubbio che i responsabili di un infortunio sul lavoro possano essere più di uno, tuttavia nel corso del tempo si sono avvicendati vari criteri di attribuzione della responsabilità.
Chi è il datore di lavoro? La sua figura coincide con il concetto civilistico di datore di lavoro consistente tendenzialmente nella titolarità cartolare del rapporto di lavoro?
Il problema, ovviamente, non si pone nelle imprese in cui, vuoi per scelta, vuoi per le dimensioni aziendali di piccola o media consistenza, vi è un unico amministratore, nel qual caso ricade su costui la qualifica di datore di lavoro, fatti salvi casi eccezionali, ma cosa accade di fronte ad organizzazioni più complesse, come molte società di capitali, amministrate tramite organi direttivi di tipo collegiale?
La definizione normativa di cui all’art. 2 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro a ben vedersi, fa riferimento sia ad un dato formale, costituito dal «titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore», sia al dato sostanziale o fattuale di chi «ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa».
Questo dovrebbe di per sé essere sintomatico della volontà del legislatore di valorizzare entrambe le accezioni del datore di lavoro: quella di tipo civilistico, che riguarda la titolarità del rapporto lavorativo in senso contrattuale, e quella di tipo prettamente fattuale, che guarda all’esercizio concreto delle prerogative datoriali nell’organizzazione dell’impresa.
Recentemente la giurisprudenza si sta assestando su posizioni che cercano di mixare vari orientamenti succedutisi negli ultimi anni.
Di volta in volta le responsabilità in materia di sicurezza vengono ascritte, secondo una visione più formale, al presidente del consiglio di amministrazione, che di solito rappresenta legalmente la società, oppure, secondo una visione più sostanziale, agli amministratori muniti di deleghe gestorie specifiche per l’amministrazione della società, o persino a datori di lavoro di fatto, sotto ordinati rispetto agli apicali, laddove essi svolgano attività direttive in singole unità organizzative, indipendentemente dalla loro qualificazione giuslavoristica.
Le Sezioni Unite della Cassazione, nella nota sentenza pronunciata per il caso ThyssenKrupp, hanno ribadito che “ruoli, competenze e poteri segnano le diverse sfere di responsabilità gestionale ed al contempo definiscono la concreta conformazione, la latitudine delle posizioni di garanzia, la sfera di rischio che deve essere governata”, sicché, “nell’ambito di organizzazioni complesse, d’impronta societaria, la veste datoriale non può essere attribuita solo sulla base di un criterio formale, magari indiscriminatamente estensivo, ma richiede di considerare l’organizzazione dell’istituzione, l’individuazione delle figure che gestiscono i poteri che danno corpo a tale figura” (Cass. Pen., S.U., 18.9.2014, n. 38343).
Così, con riferimento all’infortunio di un muratore, si è sostenuto che anche un soggetto estraneo all’organigramma aziendale possa assumere il ruolo di datore di lavoro e divenire destinatario della normativa antinfortunistica, in presenza di comportamenti ricorrenti, costanti e specifici, dai quali possa desumersi l’effettivo esercizio di funzioni datoriali. Il datore di lavoro titolare degli obblighi prevenzionistici va individuato sia in colui che risulta parte in senso ”formale” del contratto di lavoro sia nel soggetto che ”di fatto” assume i poteri tipici della figura datoriale (Cass. pen. IV, 23.09.2016, n. 39499; ma v. altresì Cass. pen., Sez. IV, 23.10.2015, n. 2536).
Nelle imprese di grandi dimensioni, ampiamente articolate, si può determinare la contestuale presenza di un datore di lavoro al vertice dell’intera organizzazione, che pertanto potrebbe dirsi ”apicale”, e di uno o più datori di lavoro che potrebbero definirsi ”sottordinati”. Sennonché il ruolo datoriale di questi ultimi non elide il vincolo gerarchico verso il datore di lavoro apicale, che resta unico, con la particolarità che tale vincolo si esprime con modalità che non intaccano i poteri di decisione e di spesa dei datori sottordininati nella autonoma gestione delle unità produttive.
Quando, invece, il vincolo gerarchico con il datore di lavoro apicale si riflette anche sulle gestioni secondarie o sotto-articolate, è da escludersi che ricorrano anche datori di lavoro sottordinati, profilandosi piuttosto dei dirigenti, con la conseguenza che la responsabilità penale rimane totalmente in capo all’apicale. Ne deriva che nelle imprese articolate in una pluralità di unità operative, il datore di lavoro sottordinato è destinatario di tutte le prescrizioni che si indirizzano alla figura datoriale ancorché in funzione della gestione della sicurezza nell’ambito dell’unità organizzativa affidatagli. Esemplificando, egli sarà tenuto ad eseguire la valutazione di tutti i rischi connessi alle attività lavorative svolte nell’unità; a redigere il documento di valutazione dei rischi; a nominare il medico competente ed il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione (in tal senso v. Cass. pen., III, n. 9028 del 15.02.2022; Cass. pen. Sez. IV, n. 32899 dell’08.01.2021; Cass. pen. Sez. IV, n. 18200 del 07.01.2016).
Concludendo, per ciò che attiene alla sicurezza sul lavoro, non esiste un criterio univoco per individuare il datore di lavoro nelle organizzazioni complesse. La giurisprudenza oggi tende ad utilizzare entrambi i criteri previsti dall’art. 2 del TUSL, quello ”formale”, che identifica il datore di lavoro nel «soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore», e quello ”sostanziale”, che lo individua nel «soggetto che … esercita i poteri decisionali e di spesa».
La conseguenza di tale impostazione è che nell’ambito degli organi direttivi collegiali, a seconda dei casi concreti che si prospettano, le responsabilità datoriali in materia di sicurezza saranno ascritte, secondo una visione più formale, al presidente del consiglio di amministrazione, che normalmente rappresenta legalmente la società, oppure, secondo una visione più sostanziale, agli amministratori muniti di deleghe gestorie specifiche per l’amministrazione della società, o persino a datori di lavoro di fatto, sotto ordinati rispetto agli apicali, laddove essi svolgano attività direttive in singole unita, indipendentemente dalla loro qualificazione giuslavoristica.
Particolare rilievo nell’individuazione del datore di lavoro assume anche l’art. 28, D.lgs. 81/2008, dedicato all’«oggetto della valutazione dei rischi», atteso che la redazione del documento di valutazione di rischi (DVR), non può essere delegato da parte del datore di lavoro, a fronte di quanto previsto dall’art. 17 D.lgs. 81/2008. Tale documento, si ricorda, deve contenere la valutazione dei rischi per i lavoratori, l’individuazione delle misure di prevenzione e protezione, l’individuazione delle procedure, nonché dei ruoli che vi devono provvedere, affidate a soggetti muniti di adeguate competenze e poteri. Pertanto, la semplice disamina di tale documento e della sua sottoscrizione, tendenzialmente consente di identificare il soggetto originariamente tenuto a prevenire e governare il rischio medesimo.
Si deve tenere presente che esistono vari rimedi per sgravare il datore di lavoro della maggior parte degli obblighi incombenti sulla sua posizione di garanzia e sulle conseguenti responsabilità, ma di questo abbiamo avuto modo di parlare nello speciale sicurezza.
* Avvocato in Milano
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