RIFLESSIONI SUL TRASFERIMENTO DEL LAVORATORE CAREGIVER

di Andrea Federici*

“Gli oppressori non sentono il loro avere di più come privilegio che disumanizza gli altri e loro stessi.” (Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, 1970)

Preciso da subito che, per semplicità e chiarezza, mi concentrerò solo sull’aspetto pratico e operativo della questione, consapevole della complessità del tema e delle diverse interpretazioni offerte dalla giurisprudenza e dalla dottrina. L’intento è fornire un aiuto concreto a chi si trovi nella posizione di dover valutare una richiesta di trasferimento presentata da un dipendente che assiste una
persona in condizioni di grave fragilità.

Riferimenti normativi
Per fornire un inquadramento normativo della materia trattata, si ricorda che il comma 5 dell’art. 33 della legge 5 febbraio 1992 n. 104, prevede che: “il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.”. Si fa menzione, più nel dettaglio, del dipendente (pubblico o privato) che assiste la persona con handicap in situazione di gravità, ovverosia coniuge, parente, affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado al ricorrere di determinate condizioni.

Orientamenti giurisprudenziali
Numerose sentenze (es. Tribunale Trani 2024, Cassazione 2024, TAR Lombardia 2023, ecc.) hanno chiarito che il diritto alla scelta della sede lavorativa non è assoluto. L’espressione “ove
possibile”, infatti, impone un bilanciamento tra il diritto del lavoratore e le esigenze organizzative del datore di lavoro. Questo vale sia se si considera il diritto del dipendente come soggettivo pieno, sia se lo si interpreta come un interesse legittimo, anche se particolarmente tutelato.
La norma stessa indica chiaramente che deve esserci un equilibrio tra l’esigenza di assistenza della persona fragile e le esigenze organizzative, economiche o di servizio dell’ente o dell’azienda.
Per questo, un eventuale diniego al trasferimento non può basarsi sull’assolutezza del diritto del lavoratore, ma deve derivare da un’attenta analisi delle condizioni organizzative, sia nella sede attuale che in quella richiesta.

Obbligo di motivazione
È importante ricordare che spetta al datore di lavoro dimostrare l’impossibilità di accogliere la richiesta, indicando con precisione perché non è possibile assegnare il dipendente alla sede più
vicina alla persona da assistere.
Non sono accettabili motivazioni vaghe o generiche come “pregiudizio al regolare funzionamento dell’attività” o “carenza di personale”, né il semplice fatto che “la sede richiesta è al completo”.
Il datore di lavoro deve provare che esistono reali ostacoli tecnici, organizzativi o produttivi e che tali esigenze non possano essere soddisfatte in altro modo.

Criteri di valutazione per un eventuale diniego
Senza voler essere esaustivo, segnalo alcuni elementi che possono supportare una valutazione negativa:
• Effettività: descrivere concretamente quali attività, compiti o scadenze non potrebbero essere svolti in assenza del dipendente e quali inefficienze ne deriverebbero.
• Impossibilità di soluzione alternativa: valutare attentamente l’organizzazione interna e le risorse disponibili per capire se quei compiti possano essere redistribuiti senza un carico eccessivo per l’ente.

La motivazione deve reggere sul piano della “gravità” del danno che il trasferimento comporterebbe per l’organizzazione o, nel caso del pubblico impiego, per l’interesse collettivo (Cass. civ., sez. lav., n. 26343/2023).

Onere della prova e ulteriori elementi di valutazione
La motivazione deve essere fondata su elementi oggettivi e verificabili, altrimenti il rifiuto può essere considerato illegittimo per carenza di motivazione.
Inoltre, è opportuno considerare altri aspetti, quali:

  1. il diritto della persona con disabilità grave a ricevere assistenza continua e adeguata;
  2. situazioni di monoparentalità o monogenitorialità;
  3. la distanza tra la sede di lavoro e il domicilio dell’assistito;
  4. le esigenze personali e intime del fragile, come il rifiuto di assistenza da parte di persone estranee o di genere.

Conclusione
Le richieste di trasferimento in questi casi devono essere valutate con grande attenzione, poiché coinvolgono diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione (art. 3, comma 2) e da norme sovranazionali (art. 6 della Carta di Nizza e Convenzione ONU del 13/12/2006, ratificata con legge 18/2009).
Negare senza giustificazione un tale diritto rischia di rappresentare una grave criticità anche sotto il profilo della responsabilità sociale d’impresa, soprattutto per le organizzazioni che si dichiarano coerenti con i principi ESG (Environmental, Social and corporate Governance).

*Avvocato in Bologna

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