di Cinzia Brunazzo*

Professor Ichino, quale ruolo vede per i sindacati, nell’era dell’automazione spinta e dell’intelligenza artificiale?

Proporrei una distinzione tra il medio e il lungo termine. Di quest’ultimo vi chiedo di consentirmi di non parlare: stante il ritmo dell’innovazione tecnologica, nessuno può seriamente fare previsioni sul sistema delle relazioni industriali e di lavoro fra trenta o cinquant’anni. Se ci limitiamo a un discorso sul prossimo decennio o quindicennio, per quel che riguarda l’Unione Europea vedo una situazione di generale carenza di manodopera rispetto alla domanda espressa dal tessuto produttivo, a tutti i livelli professionali e in tutti i settori. Il compito principale del sindacato,
in questo contesto, è principalmente quello di assicurare a ogni persona che vive del proprio lavoro – soprattutto a quella più debole – la possibilità effettiva di “usare il mercato” agevolmente, dunque di fruire di tutti i servizi necessari per questo, dall’orientamento professionale a una formazione di cui sia capillarmente monitorata l’efficacia, all’assistenza e sostegno per la mobilità
geografica. È questo il modo in cui si rafforza il potere contrattuale della singola persona ed è il migliore servizio che si può fare ai lavoratori per garantire loro libertà, dignità e valorizzazione
anche economica del loro lavoro.

Qualcuno, immagino, le obietterà che questa è una visione molto individualistica del movimento sindacale, della difesa degli interessi dei lavoratori.

Ho detto che l’azione volta al rafforzamento della posizione nel mercato di ciascuna persona, e in particolare di chi è più debole, è ciò di cui c’è bisogno più urgente. Con questo non intendo sminuire l’importanza dell’azione che un sindacato al passo coi tempi deve svolgere sul piano collettivo.
A livello nazionale questa azione si concreta nella negoziazione e stipulazione dei contratti nazionali collettivi di settore, che – a mio modo di vedere – dovrebbero prevedere soltanto lo standard minimo applicabile di default, in assenza di un contratto stipulato a un livello più vicino al luogo di lavoro: dunque a livello regionale, provinciale o soprattutto aziendale. Ma siamo nell’era della globalizzazione, un processo che non può certo considerarsi superato: né Putin né Trump possono far più che rallentare, ma non certo arrestare il progressivo abbattimento delle barriere alla mobilità delle persone, dei beni, delle informazioni; e in questo nuovo contesto un sindacato al passo coi tempi ha anche una nuova funzione cruciale: assistere il collettivo dei lavoratori di un’azienda in crisi nella scelta del nuovo imprenditore tra i molti possibili candidati provenienti da qualsiasi parte del mondo.

Può spiegare meglio?

La globalizzazione ha un effetto sfavorevole per i lavoratori di un Paese economicamente sviluppato, perché li espone alla concorrenza di quelli dei Paesi più poveri. Ma questo effetto può essere compensato da quello favorevole ai lavoratori, consistente nel fatto che la stessa globalizzazione pone gli imprenditori di un Paese in concorrenza con quelli di tutto il resto del mondo non solo nel mercato dei beni e dei servizi, ma anche in quello del lavoro. Come mi sono proposto di mostrare nel libro L’intelligenza del lavoro. Quando sono i lavoratori a scegliersi l’imprenditore (Rizzoli, 2020), i dipendenti di un’azienda in crisi si trovano assai frequentemente nella condizione di poter essere loro a selezionare il proprio nuovo datore di lavoro e “ingaggiarlo”.
In quella situazione – che si è verificata, per esempio, per i dipendenti di Alitalia nel 2008 e nel 2017, per quelli della Fiat nel 2010, per quelli dell’ex-Italsider di Taranto in questi ultimi anni, e
in diversi altri casi – un sindacato può svolgere il ruolo dell’“intelligenza collettiva” che consente ai lavoratori dell’azienda in crisi di valutare ciascuno dei possibili imprenditori, provenienti da qualsiasi parte del mondo, che siano interessati a rilevarla; è solo il sindacato-intelligenza collettiva che può valutare l’affidabilità di un imprenditore sul piano tecnico, finanziario e anche su quello etico, valutarne il piano industriale, e se la valutazione è positiva negoziare con l’interlocutore migliore la scommessa comune sulla nuova strategia imprenditoriale. Ma questo è un mestiere che
solo una parte minoritaria dei sindacati italiani considera proprio ed è in grado di svolgere.

Sta di fatto, però, che la contrattazione collettiva aziendale in Italia copre soltanto un terzo del totale della forza-lavoro nel settore privato.

È così. Per rilanciare la contrattazione di secondo livello sarebbe molto utile che tutti i contratti collettivi nazionali istituissero un premio di produzione determinato secondo una formula
elementare, suscettibile di applicarsi in qualsiasi impresa, ma destinata a essere riscritta dalla contrattazione aziendale secondo le esigenze e caratteristiche specifiche di ciascuna unità produttiva.

Come dovrebbe funzionare questo meccanismo?

Il contratto nazionale potrebbe prevedere un monte-premio, da distribuire ai dipendenti in proporzione alla loro paga-base, pari al 20 o al 30 per cento dell’aumento del margine operativo lordo registrato nell’ultimo anno rispetto a quello precedente, se aumento c’è stato. Il m.o.l. – che molti preferiscono chiamare EBITDA – è un dato molto grezzo, di cui però necessariamente dispone qualsiasi impresa, anche individuale. Il contratto nazionale stesso potrebbe prevedere esplicitamente che questa clausola si applichi solo in assenza di un contratto aziendale che disciplini diversamente la materia: così le imprese sarebbero incentivate ad attivare la contrattazione aziendale.
E il premio di produzione negoziato al livello aziendale dovrebbe godere di un trattamento fiscale di favore anche più generoso di quello già oggi in vigore.

Le associazioni imprenditoriali obietteranno che il meccanismo è troppo oneroso.

Non è così, dal momento che lo stesso contratto nazionale in cui viene inserita questa clausola terrà necessariamente conto dell’impatto del “premio di produzione di default” nel determinare la parte fissa della retribuzione, i c.d. “minimi tabellari”. Sarà comunque l’accordo tra le parti nazionali a decidere quanta parte del montesalari complessivo spostare dallo zoccolo fisso alla parte variabile. Ma questa operazione è comunque indispensabile se vogliamo tornare a incentivare l’aumento della produttività del lavoro – che in Italia ristagna ormai da tre decenni – e con esso l’aumento delle retribuzioni.

La sensibilità diffusa rivolta alla sicurezza dei lavoratori si esprime spesso con allarmi sociali rilevanti: quanto effettivamente il sistema sanzionatorio può ridurre l’incidenza degli infortuni sul lavoro?

A ogni infortunio grave sul lavoro, dunque quasi tutti i giorni, i media condannano, i sindacati protestano, le autorità promettono giri di vite nella disciplina antiinfortunistica e rafforzamento delle attività ispettive. Ma la misura più concretamente utile, già prevista dalla legge, è rimasta inattuata per otto anni, e poi è stata abrogata alla chetichella l’anno scorso nell’indifferenza generale. Salvo il giorno dopo ricominciare a stracciarsi le vesti contro la strage continua.

A quale misura si riferisce?

Alla riorganizzazione unitaria degli ispettorati del lavoro, attualmente ripartiti in quattro organici distinti e tra loro scollegati: quello del ministero, quello dell’Inps, quello dell’Inail e quello delle Aziende sanitarie locali. L’unificazione era stata disposta da uno dei decreti attuativi del Jobs Act, il n. 149 del 2015. Ma i sindacati di categoria si sono opposti strenuamente alla sua attuazione, per la tutela di interessi di bassissimo rilievo. E alla fine il governo li ha accontentati, con un minuscolo comma nascosto nell’articolo 31 del decreto legge n. 19/2024, che ha cancellato il decreto n. 149/2015. Nessuno ha fiatato, nessun giornale ne ha parlato.

Con la legge di iniziativa popolare approvata nei giorni scorsi dal Parlamento, si è aperto, uno spazio nuovo per la partecipazione dei lavoratori in azienda prevista dall’articolo 46 della Carta costituzionale; quale futuro prevede su questo terreno?

Questa legge ha un solo merito: quello di avere posto di nuovo il tema della partecipazione dei lavoratori nelle imprese al centro dell’agenda del sistema delle relazioni industriali in Italia. Cioè in un Paese che su questo terreno fa registrare un notevole ritardo rispetto al resto della UE. Però la nuova legge non fa altro che menzionare buone pratiche in questo campo, che potevano benissimo essere oggetto di contrattazione aziendale anche prima; non contiene né incentivi fiscali adeguati per la diffusione della partecipazione azionaria dei lavoratori, né le correzioni necessarie di alcuni ostacoli normativi che oggi frenano la partecipazione nelle società a governance duale.

Soltanto fumo e niente arrosto?

Non mi spingo a dire questo. Mi sembra, però, che per superare l’ostilità tradizionalmente dominante nel movimento sindacale italiano contro la partecipazione dei lavoratori in azienda occorrerebbe una riforma più incisiva e incentivi adeguati. Da noi è ancora troppo diffusa l’idea che l’imprenditore sia un soggetto socialmente pericoloso; in qualche caso può anche essere vero, ma dobbiamo tutti convincerci che non può esserci buon lavoro senza un buon imprenditore.
Così come non può esserci buona impresa senza buon lavoro. Che ci sia un conflitto di interessi tra le due parti sulla divisione dei frutti del lavoro comune è naturale; ma occorre superare l’ideologia dell’antagonismo necessario tra impresa e lavoro.

La parità di genere in Italia è ancora molto lontana. Ritiene che ci possano essere strumenti oltre a quelli in essere per agevolare questo traguardo?

Ne vedo uno solo: quello proposto dagli economisti del lavoro Alberto Alesina e mio fratello Andrea nel libro L’Italia fatta in casa (Mondadori, 2009) e ripreso nel disegno di legge n. 2102 presentato dal senatore Morando e da me nel 2010. L’idea è quella di una grande “azione positiva” volta a contrastare la “discriminazione sistemica” che tuttora penalizza il lavoro delle donne
nel nostro Paese, consistente in una detassazione selettiva dei redditi di lavoro autonomo e subordinato femminile: secondo i calcoli che facemmo in funzione della presentazione di quel disegno di legge, basterebbe ridurre del 25 per cento l’Irpef su questi redditi per determinare un forte incentivo alla redistribuzione dei compiti di cura familiare tra uomini e donne. Per la copertura finanziaria basterebbe un aumento di circa il 5 per cento dell’Irpef sui redditi di lavoro dei maschi, che produce tre quarti del gettito dell’Irpef. E forse basterebbe anche meno, poiché per un verso l’offerta di manodopera maschile è relativamente rigida: dunque non subirebbe una riduzione apprezzabile per effetto dell’aumento del prelievo fiscale; per altro verso, l’aumento della partecipazione delle donne alla forza-lavoro, dovuto alla maggiore elasticità della loro offerta di manodopera, genererebbe un aumento netto del gettito fiscale Irpef. Insomma, sarebbe un grande gioco a somma positiva.

*ODCEC Rimini

IL GRUPPO ODCEC AREA LAVORO SI DECLINA AL FEMMINILE: Incontro con la Presidente Cinzia Brunazzo

di Stefano Grimaldi*

 Domanda. Pochi mesi or sono, la guida del Comitato scientifico Gruppo Odcec Area lavoro è stata affidata a due donne, Lei, quale Presidente, e la dott.ssa Luisella Fontanella, quale Direttore scientifico. In verità anche nel precedente mandato triennale, la situazione è stata analoga, questo significa che le donne Commercialista hanno una maggiore attitudine dei colleghi maschi alla materia di lavoro?

Premetto che per me non esistono lavori maschili e lavori femminili: combatto il vecchio retaggio culturale che vuole le bambine principesse e i bambini tutti dottori.

Detto questo il gruppo ODCEC area lavoro non ha per statuto una quota riservata al genere meno rappresentato in ogni Suo organo, che sia consiglio direttivo o comitato scientifico, neppure nelle candidature: tutti si possono candidare basta essere aderenti.

A dire il vero il Presidente “fondatore” e il primo Direttore Scientifico erano uomini e solo successivamente abbiamo avuto alla guida come presidentesse, direttrici scientifiche e capo redattrici della nostra rivista solo donne.

Occorre però considerare che il Gruppo ODCEC area lavoro è un comitato scientifico volontario e gratuito, dove le cariche non percepiscono compensi, per cui occorre coniugare il lavoro che non si può lasciare, data la gratuità dell’incarico, con l’impegno necessario al buon funzionamento del Gruppo e noi DONNE siamo maestre nel conciliare vita-lavoro-famiglia. Quindi al genere femminile possiamo dire riesce meglio organizzare e programmare.

Le statistiche dicono che nel mondo delle associazioni e del volontariato predominano le donne.

Comunque se è vero che le ultime Presidenti e l’attuale sono donne è pur vero che i vicepresidenti sono e sono stati uomini. A me piace pensare, e la storia lo dimostra, che il Gruppo alle elezioni premi coloro che nel tempo abbiano dimostrato professionalità nella materia del lavoro, capacità organizzative e dedizione al Gruppo.

 

Domanda. Il Comitato scientifico che lei presiede sta per festeggiare 11 anni di attività, quali sono i principali risultati raggiunti e cosa si prefigge di fare nel futuro?

Tanti anni infatti sono passati da quando 7 colleghi, fra cui io, in rappresentanza di 6 ordini territoriali, in un momento in cui il Consiglio Nazionale era commissariato e non si occupava della materia del lavoro, si sono riuniti ed hanno pensato di costituire un Comitato Scientifico, gratuito e volontario, di Commercialisti specialisti nella materia del lavoro per promuovere la formazione, lo studio e la ricerca in tale settore.

Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti…

In questi anni abbiamo sempre più promosso la materia del lavoro con elaborazione di approfondimenti scientifici quali quello sul Salario Minimo (dove abbiamo messo a confronto le tariffe minime dei maggiori CCNL per confrontarli con i famosi 9 euro previsti dai disegni di legge, lavoro ripreso anche dal ns. Consiglio Nazionale) o l’approfondimento effettuato al momento dell’uscita dell’Assegno Unico (la cui presentazione ha visto più di 600 collegamenti al webinar); senza parlare degli eventi formativi gratuiti organizzati su approfondimenti o argomenti di attualità: pensiamo al webinar sul “cassetto Previdenziale INPS” organizzato in marzo 2022 al momento della sua modifica/implementazione che ha visto ben 1238 collegamenti, sempre con relatori eccellenti sia Colleghi che Avvocati giuslavoristi, funzionari degli istituti INPS, INL, INAIL.

Abbiamo anche organizzato master e corsi di alta formazione a pagamento come il percorso di alta formazione sulla Consulenza Pensionistica, il seminario di aggiornamento e approfondimento in materia del lavoro, la cui formula ci stanno copiando (si tratta di un percorso strutturale da ottobre a giugno di ogni anno: un incontro al mese dove le prime due ore, riservate all’aggiornamento, sono tenute sempre dallo stesso relatore, al momento il Prof. Natalini che non ha bisogno di presentazioni, il quale ci spiega cosa è cambiato dalla volta precedente, mentre le seconde 2 ore sono di approfondimento con relatori sempre diversi specialisti nella materia affrontata. Il tutto a prezzi calmierati, proprio perché tutta l’organizzazione è svolta gratuitamente dal Comitato Scientifico).

Da ultimo ma non ultimo siamo editori della Rivista “Noi & il Lavoro”: trattasi di una rivista, anche questa gratuita, bimestrale, a diffusione nazionale di diritto, economia e organizzazione del lavoro, che vuole essere punto di riferimento, approfondimento e confronto per tutti i Commercialisti del lavoro.

Questo e tanto altro che via via nel tempo è stato sempre di più apprezzato, tant’è che il numero dei Commercialisti aderenti è aumentato fino a arrivare a poco meno di 2.000; ma coloro che ci seguono sono molti di più: su linkedin abbiamo 16.500 followers e il nostro sito ha raggiunto punte fino a 20.000 visualizzazioni mensili.

Cosa mi propongo per il futuro, anzi cosa ci proponiamo per il futuro, perché noi in primis SIAMO UNA SQUADRA. Per prima cosa vorremmo conservare e implementare quanto egregiamente portato avanti fino a questo momento, che già sarebbe un buon risultato considerato che l’attività svolta è tutta gratuita ed il lavoro è tanto, ma ci piacerebbe ampliare i lavori di studio e ricerca effettuati dal Comitato Scientifico. Il nostro lavoro è già stato apprezzato tant’è che abbiamo aperto a membri esterni la partecipazione al nostro Comitato Scientifico ed abbiamo avuto l’adesione di un Professore di diritto del lavoro della Università Cattolica. I nostri studi devono diventare un lavoro a 4 mani fra cultori del diritto del lavoro, sia tecnici che teorici.

Credo che l’aneddoto che sto per raccontare possa essere più significativo di tante parole: a Trento, nel mese di marzo scorso, durante un evento organizzato dal Gruppo, una Collega mi ha fermato complimentandosi perché durante il COVID, con i nostri eventi, le abbiamo (testualmente) “salvato la vita”, professionalmente parlando. Così si è espressa! Ciò ha riempito d’orgoglio tutti noi: sono queste manifestazioni di stima a darci nuova determinazione per proseguire il lavoro che stiamo svolgendo.

Ecco vorremmo diventare un vero punto di riferimento per lo studio, l’aggiornamento e le proposte normative nella materia del lavoro.

Per fare questo però abbiamo bisogno dell’apporto di tutti ………….

 

Domanda. Dopo il dramma della pandemia da Covid-19 del 2020/2021 e i più recenti eventi bellici, quali la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente, che hanno provocato e stanno provocando tensioni economiche e sociali nell’Unione Europea, con l’aumento dei prezzi delle materie prime, dei beni di consumo e dei servizi, l’impennata dei tassi bancari, che accennano a diminuire solo ora, e la ripresa dell’inflazione, la situazione economica italiana sembra lentamente migliorare, sebbene le previsioni di crescita per l’anno in corso e il prossimo siano decisamente modeste. In che modo le imprese i professionisti che le assistono possono contribuire ad accelerare il processo di miglioramento economico?

Da alcuni anni, non solo per effetto degli eventi richiamati, si sta assistendo ad una importante evoluzione nel mondo delle imprese e, per queste, la grande sfida sarà quella della transizione in ambito ESG. Io credo che i commercialisti, anche quelli che si occupano di lavoro, potranno avere un ruolo fondamentale nel supportare le imprese in tale ambito. Social, infatti, significa per le imprese non solo attenzione al contesto sociale nel quale operano ma: parità di genere, welfare, nuove forme di lavoro con maggiore ricorso al lavoro agile, flessibilità degli orari di lavoro, attenzione alle esigenze di lavoratrici/lavoratori con figli minori e tanto altro. In questo contesto è evidente per i commercialisti, la necessità di “fare squadra”: unire le diverse competenze, in ambito economico, giuslavorista, societario, finanziario, della gestione delle crisi d’impresa, della revisione, dell’organizzazione e controllo, solo per citare alcune delle svariate competenze di questa bellissima professione multidisciplinare: è un passaggio che non può essere più rimandato. In questo contesto, un ruolo fondamentale potranno darlo le aggregazioni fra gli studi basate sull’allargamento dei servizi consulenziali che si potranno offrire alle imprese, privilegiando quindi la qualità alla quantità, così come da tempo indicato dal nostro Consiglio Nazionale

 

Domanda. I Commercialisti e gli Esperti Contabili che si occupano della materia di lavoro sono numericamente più dei Consulenti del lavoro, ciò nonostante la loro “voce” è piuttosto bassa nel coro dei professionisti del settore economico-giuridico, crede che dovrebbero fare qualcosa per far conoscere meglio le loro competenze in questa specifica materia?

Da sempre il Commercialista si occupa di fatto e di diritto della materia del lavoro: anzi, considerato che lo stesso si occupa di tutti gli aspetti della consulenza aziendale (strategie aziendali, organizzazione aziendale, accordi commerciali, politiche di bilancio, fiscali e tributarie, gestione della crisi aziendale, finanziamenti agevolati ecc.,) egli può effettivamente prestare, in tale materia, non solo assistenza per quanto riguarda gli adempimenti, ma una vera consulenza di supporto per il management aziendale.

Purtroppo però nell’ambito della consulenza in materia del lavoro prestata dal Commercialista c’è un problema di conoscenza sia all’interno della categoria che all’esterno.

All’interno della categoria, in quanto molti Colleghi sono indifferenti al fatto che molte aziende, loro clienti, si affidino, per la consulenza in materia del lavoro, ad altre categorie professionali anziché a Commercialisti: occorre quindi promuovere al massimo le sinergie all’interno della categoria dei Commercialisti, ossia occorre “fare squadra”.

All’esterno della categoria, viceversa, non si ha effettiva percezione dell’importanza dell’attività svolta dai Commercialisti in tale ambito e delle reali dimensioni della fetta di mercato che occupano i Commercialisti nella materia del lavoro.

I Commercialisti iscritti in Italia sono oltre 120.000 e una larga parte di essi si occupa della materia del lavoro: infatti, in base ai dati rilevati dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), nel luglio 2017, i Commercialisti registrati nel portale dello stesso Istituto, come intermediari per le posizioni lavoratori dipendenti e parasubordinati, ammontavano a 22.264.

Per avere un’idea delle reali dimensioni della fetta di mercato della consulenza del lavoro occupata dai Commercialisti basta pensare che, nello stesso periodo, i Consulenti del lavoro registrati erano 17.889, vale a dire un numero notevolmente inferiore: ciò nonostante il Parlamento, le Forze Politiche e le Istituzioni competenti nella materia, per l’esame e la valutazione di nuovi provvedimenti in materia del lavoro, tendevano e tendono tutt’ora a rivolgersi quasi esclusivamente ai Consulenti del lavoro.

Occorre pertanto una forte azione promozionale che dia alla categoria dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili adeguato risalto della reale attività da loro svolta in questo specifico ramo della professione.

In un momento nel quale il Consiglio Nazionale è impegnato a promuovere la specializzazione e la aggregazione in studi associati per creare sinergie fra i vari specialisti, occorre prendere coscienza del fenomeno della specializzazione in materia di lavoro di parte importante della Categoria: diversamente, si correrà il rischio che vadano perse reali possibilità di lavoro per tanti Colleghi, in special modo per i giovani iscritti.

Il nostro Consiglio Nazionale può fare molto sia all’interno della categoria che all’esterno.

All’interno, proprio per far prendere coscienza ai Colleghi che la materia è di nostra competenza, si dovrebbe obbligare o almeno invitare tutti gli ordini a prevederla nei percorsi di formazione dei praticanti e prevederla anche all’esame di abilitazione alla professione, obbligando così i Colleghi ad approfondire la materia; si potrebbe inoltre studiare e sviluppare strategie di comunicazione avvalendosi di specialisti del settore e conseguente elaborazione di una campagna di comunicazione mirata.

All’esterno presidiando i tavoli tecnici negli istituti nazionali INPS, INAIL, INL, intervenendo in audizione anche in tali materie, difendendo la nostra specializzazione, riconosciutaci dalla legge 12/79, che ultimamente il legislatore sembra aver dimenticato (vedi il D. Lgs. 276/2003 con la certificazione dei contratti e l’attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, il D. Lgs.151/2015 con le dimissioni on line, la legge 92/2012 con il tentativo di conciliazione in caso di licenziamento per G.M.O.: tutte pratiche/istituti riservati solo ai Consulenti del Lavoro) senza parlare del Protocollo dell’INL stipulato solo con i Consulenti del Lavoro per l’Asse.Co.

Proprio su questo ultimo protocollo, con l’atto di diffida e messa in mora, inoltrato dal nostro Consiglio Nazionale al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed all’Ispettorato del Lavoro, finalizzato alla costituzione di un accordo per poter rilasciare l’asseverazione di conformità (Asse.Co.) anche da parte dei Commercialisti, sembra ci stiamo muovendo in tale direzione. Tutti gli iscritti confidano che questo sia un primo passo nella difesa di questa specializzazione a noi tanto cara.

 

Domanda. Negli ultimi anni l’argomento della sicurezza sul lavoro è sempre più di attualità, principalmente a causa degli infortuni, anche mortali, che si sono verificati, sappiamo che il Comitato scientifico che lei presiede è attivo nella diffusione della cultura della sicurezza sul lavoro, al riguardo quale è il programma dell’attuale Consiglio direttivo?

È inaccettabile che un Paese, come l’Italia, che è tra quelli più industrializzati, debba “convivere” con una terribile media di circa 3 morti al giorno sui luoghi di lavoro. La patente a punti, di recentissima introduzione nel settore edile, può rappresentare una svolta importante per far sì che le imprese mettano la sicurezza sul lavoro ai massimi livelli di attenzione: se saranno confermati risultati tangibili in termini non solo di minore mortalità, ma anche in termini di minori infortuni, questa novità potrà, e dovrà, essere estesa in altri comparti produttivi.

Permettetemi però, da tecnica, di dire che la norma presenta criticità: una per tutte, in caso di mancata verifica della “patente a punti”, è prevista a carico del committente o del responsabile dei lavori la sanzione amministrativa pecuniaria massima di 2.562,91. A mio avviso una sanzione così modesta non ha alcun effetto deterrente.

Sicuramente si può fare altro in modo efficace: come Gruppo ODCEC Area Lavoro, come giustamente rilevato, siamo attivi nella diffusione della cultura della sicurezza sul lavoro perché siamo consapevoli che il commercialista può supportare l’impresa in modi concreti: assistenza e consulenza in ambito d. Lgs. 231, o Mog ai sensi dell’art. 30 del d. Lgs. 81, formazione professionale, certificazione dei modelli organizzativi, pianificazione degli investimenti in sicurezza e altro.

È chiaro che anche il Legislatore può fare di più. Si pensi, solo per citare interventi di pronta attuazione, a: aumento delle sanzioni per responsabilità amministrativa delle imprese ex d. Lgs. 231, in particolare, quelle di tipo interdittivo; asseverazione dei corsi di formazione sulla sicurezza; intervento degli enti bilaterali interprofessionali per la formazione continua; accesso al credito facilitato per le imprese che adottino piani di sviluppo e interventi finalizzati alla riduzione dei rischi lavorativi con abbattimento dei tassi d’interesse per mezzo di contribuzione statale o regionale; aumento dell’organico degli ispettori INAIL.

 

Domanda. Presidente, in chiusura, una domanda più personale. Che qualità gestionali e umane si riconosce?

Premesso che mi hanno insegnato che le qualità vanno riconosciute dagli altri (“Chi si loda s’imbroda”), diciamo che sono una persona determinata, testarda e diretta, che se si pone un obbiettivo combatte per ottenerlo, che crede che la competenza paghi e si impegna continuamente, che quando crede in qualcosa ci mette il cuore.

Negli anni ho sempre speso la mia determinazione e passione a favore del Gruppo.

Determinazione nell’ insistere con tutte le Istituzioni, a partire dal nostro Consiglio Nazionale, per promuovere la specializzazione giuslavoristica, partendo dai corsi di studio universitari, da incontri con gli studenti delle scuole superiori per far conoscere loro questo sbocco professionale, per l’organizzazione di corsi di aggiornamento con riconoscimento dei crediti formativi.

Passione nel diffondere tutte le attività del Gruppo e sviluppare sempre più, anche in collaborazione con altre professioni giuslavoristiche, la formazione dei commercialisti del lavoro, nell’interloquire, costantemente, con le Istituzioni ed il mondo politico e sindacale (inteso in senso lato e quindi non solo sindacati dei lavoratori ma anche associazioni di rappresentanza datoriale) con apporto consulenziale specialistico e per la massima diffusione della cultura del lavoro sicuro.

 

*Direttore Responsabile – Ordine Naz. Giornalisti 150732

#commercialista #lavoro #donnapresidente

di Maurizio Centra*

LA SITUAZIONE PREVIDENZIALE DEI RAGIONIERI COMMERCIALISTI SPIEGATA DAL PRESIDENTE CNPR 

Domanda. In attuazione del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 le casse di previdenza e assistenza dei professionisti sono state trasformate in associazioni o in fondazioni di diritto privato. Da allora molte cose sono cambiate e gli equilibri economici, patrimoniali e finanziari di alcune casse privatizzate sono stati messi a  “dura prova”. Dopo il default dell’Inpgi e il trasferimento all’Inps della gestione previdenziale dei giornalisti (dal 1° luglio 2022), tra gli esperti in materia previdenziale è ripreso il dibattito sulla sopravvivenza del sistema delle casse privatizzate, soprattutto a causa della progressiva diminuzione di nuovi iscritti agli ordini professionali. Questa tendenza potrebbe penalizzare la Cassa dei Ragionieri più di altri enti analoghi, considerato lo sfavorevole rapporto tra professionisti attivi (contribuenti) e pensionati, pertanto: Continua a leggere

di Maurizio Centra*

 

LA SITUAZIONE PREVIDENZIALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI SPIEGATA DAL PRESIDENTE CDC 

Domanda. Sono trascorsi 28 anni dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 in materia di previdenza obbligatoria, che ha disposto la trasformazione in associazioni o in fondazioni di diritto privato delle casse di previdenza e assistenza dei professionisti, oltre che di altri enti, con decorrenza dal 1° gennaio 1995, e “cresce” il dibattito sulla modifica dell’attuale sistema previdenziale dei professionisti, anche a seguito del trasferimento dall’Inpgi all’Inps della gestione previdenziale dei giornalisti dipendenti dal 1° luglio 2022. Al riguardo qual è la posizione della Cassa Dottori Commercialisti? Continua a leggere

di Maurizio Centra* 

D. Poco più di un mese fa ha fatto scalpore la sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2015 in materia di perequazione pensionistica, da lei – tra l’altro – considerata una sentenza annunciata, che afferma o forse sarebbe meglio dire ribadisce un principio di civiltà ancor prima che di equità: “non è ammissibile peggiorare un trattamento pensionistico in atto in misura notevole ed in via permanente senza una inderogabile esigenza …”. Ma, escludendo un accanimento del legislatore nei confronti dei pensionati, ci può illustrare la ratio della norma censurata dalla Corte e la “stratifica- zione”, se così si può dire, dell’orientamento della stessa Corte sugli interventi di contenimento, per esigenze di finanza pubblica, che hanno riguardato le pensioni negli ultimi anni? Continua a leggere

a cura del Comitato di redazione 

D. La privatizzazione degli enti previdenziali, operata dal Decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, ha riguardato il solo regime della loro personalità giuridica, lasciando invece ferma l’obbligatorietà dell’iscrizione e della contribuzione, come pure la natura di pubblico servizio. A distanza di venti anni, il sistema che ne è scaturito consente agli stessi enti di operare secondo principi di efficienza ed efficacia, garantire le prestazioni dei beneficiari e tutelare l’integrità del patrimonio? Continua a leggere

di Gianfranco Cassano*

Dopo un lungo cammino iniziato alcuni anni fa, fatto di continua, intensa divulgazione e confronto, attraverso molte tappe intermedie, i primi provvedimenti del progetto di riforma del diritto del lavoro stanno vedendo la luce in queste settimane, al termine del naturale percorso parlamentare. Tra i protagonisti di questo cammino c’è il Prof. Pietro Ichino, ordinario di Diritto del lavoro nell’Università statale di Milano, Avvocato giuslavorista e Senatore della Repubblica, al quale sottopongo alcune domande per meglio comprendere la portata dei nuovi provvedimenti e gli scenari che si possono delineare nel breve termine, traguardo finale della delega ricevuta dal Governo. Continua a leggere

di Martina Riccardi* 

Non sappiamo se, in assoluto, sia la prima volta, in ogni caso, l’attuale Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili ha avvertito la necessità di conferire una specifica delega ad uno dei suoi membri, per le attività istituzionali in materia di lavoro. La scelta è caduta, ma forse sarebbe meglio dire è franata sul Dott. Vito Jacono, con tutta la gravità dovuta alla persistente crisi economica del Paese. Continua a leggere