DI BONUS IN PEGGIO

,
di Martina Riccardi* e Paolo Soro**

Potrebbe sembrare paradossale, ma ogni nuovo “bonus” varato dal governo è ormai diventato un vero e proprio spauracchio per noi commercialisti italiani. Non è tanto il dover svolgere lavoro extra (che assai difficilmente riusciremo a farci pagare), quanto il fatto che dietro si nasconde sempre qualche tranello.

Invero, per definizione, “bonus” (dal latino) è qualcosa di lieto, fausto, vantaggioso. Senonché, viste le passate esperienze, siamo tutti diventati a ragion veduta dei novelli Laocoonte: “Timeo Danaos et dona ferentes”.

Tra i “bonus” più sciagurati del recentissimo passato, un posto di rilievo occupano i vari aiuti di Stato boomerang. Anche in tal caso, il termine trae in inganno. L’Agenzia delle entrate ha prima elargito questi “bonus” e poi preteso dai contribuenti un’auto-dichiarazione (particolarmente complessa) che fornisse un rapporto dettagliato di tutti i vari “aiuti” che aveva concesso. Orbene, se è lo stesso ente erogatore ad avere difficoltà nel reperire queste informazioni, figuriamoci i contribuenti. Appare alquanto arduo ricordarsi per filo e per segno tutti i benefici ricevuti nel triennio, tra contributi a fondo perduto, abbattimento degli interessi sui mutui, crediti d’imposta di vario tipo, etc. Insomma, la sanzione sta dietro l’angolo e quello che il nostro padre-padrone Stato ci ha dato con la destra, ben presto se lo riprenderà (almeno in parte) con la sinistra.

Sul gradino più alto del podio, però, c’è senz’altro il “bonus” super; meglio noto come “superbonus”. Al riguardo ci asteniamo da qualsivoglia commento: basta il nome per far tremare il popolo. Peraltro l’ultimo intervento normativo si è concluso con l’ennesimo pastrocchio.

Non si discute che l’attuale periodo post emergenza COVID-19 e i contestuali rincari energetici dovuti all’affair “Ucraina”, ci abbiano causato enormi problemi economici: ogni aiuto in tal senso da parte dello Stato risulta dunque doveroso. Il dubbio che ci poniamo è sulla reale efficacia di tali “bonus” nel breve termine e soprattutto sulla fin d’ora evidente inutilità degli stessi nel lungo termine.

Si ha l’impressione che queste “pezze” messe dallo Stato siano più che altro una mossa propagandistica (il panem et circenses di romana memoria), non certo un’oculata strategia in grado di migliorare in modo strutturato la crisi del mondo del lavoro in Italia.

Inoltre, le difficoltà nel gestire da parte degli addetti al lavoro, commercialisti in primis, tutta la normativa che cambia vorticosamente nel giro di poche settimane e s’ingarbuglia su sé stessa, rende lo strumento “bonus” davvero poco appetibile.

Ogni volta che si insedia un nuovo Governo ci si aspetterebbe un intervento strutturale per aiutare imprese e lavoratori. Magari, una reale riduzione del costo del lavoro (il famigerato “cuneo fiscale”), un’estensione delle agevolazioni per tutte le nuove assunzioni e altre simili “amenità”. Sopra ogni cosa, sarebbe maggiormente auspicabile avere – finalmente – chiarezza e stabilità nelle norme: la tanto agognata certezza del diritto. È questo il vero nodo cruciale, in quanto rendere chiari i costi per gli investitori stranieri e nel contempo agevolare (anziché complicare ad oltranza) il nostro lavoro, renderebbe economicamente appetibile per tutti il nostro Paese, anziché ridurlo a un porto di mare, utile solo per impatriati italiani e stranieri (scusateci per l’ossimoro “straniero impatriato in Italia”: dura lex sed lex).

Tornando al “bonus” (la parola più googlata del momento), a rincarare la dose ci si mettono anche gli pseudo-giornalisti del web. Chiunque si sente in dovere di scrivere al riguardo; soprattutto chi fino al giorno prima ammorbava gli internauti con dotte dissertazioni circa l’importanza della varechina spray, farfugliando su TikTok congiuntivi ad nutum.

Come inevitabile conseguenza, negli studi professionali arrivano valanghe di telefonate e mail dal seguente tenore: “ho visto su internet che c’è un bonus”; “ho letto da qualche parte che mi rimborsano tutte le bollette”; “ho sentito in televisione che mi danno 3.000 euro”.

Già, l’ultimo arrivato in ordine di tempo è il “bonus 3.000”, che va a sostituire il “bonus 600”, il quale era andato a sostituire il “bonus 258”, che era subentrato al “bonus vattelapesca” …che al mercato mio padre comprò. C’è solo un piccolissimo dettaglio: in realtà non si tratta di bonus, ma di benefit a trabocchetto (se sfori il totale anche di un solo centesimo, incorri nell’ira funesta degli dei dell’imposizione… fiscale).

Ma di così detti “bonus” ce ne sarebbero ancora a decine: ci sovviene, ad esempio, la “una tantum 200” che raddoppia con la “una tantum 150” (ma “una tantum”, non significa: “una volta soltanto”?), che neppure l’Inps ha inizialmente compreso.

Quanto all’immediato futuro, dovremmo confidare sul fatto che chi adesso ha il bastone del comando agisca in linea con quelle che, fino a ieri, erano le sue stesse richieste.

Dovremmo, ma il condizionale è d’obbligo… Bonus 2023 a tutti!

*Odcec Biella

**Odcec Roma

 

image_pdfimage_print