LA SITUAZIONE NEI PRINCIPALI STATI EUROPEI

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di Mariacarla D’Amico*

Raggiungere una reale parità di genere è una vera e propria sfida per l’Europa, pur riconoscendo i progressi della presenza femminile nel mercato del lavoro, si deve porre l’accento sul fatto che la vera parità di genere soprattutto nel mercato del lavoro è ancora lontana. Il rapporto “Global Gender Gap Report 2023” del World Economic Forum evidenzia che ci vorranno ancora molti anni per raggiungere la parità di genere, con ampie variazioni tra i Paesi europei. La strategia per la parità di genere dell’UE e le politiche pubbliche sono considerate strumenti chiave per accelerare il progresso verso la parità di genere. Per questo è di grande importanza per il mondo in generale e per l’Europa in particolare, saper affrontare sfide specifiche come la segregazione settoriale e il gender pay gap. 

Ogni volta che si affronta il tema della parità di genere ci si scontra inevitabilmente con due fatti veri ma opposti. Da un lato vengono giustamente esaltati tutti quei risultati raggiunti da quella che viene definita “rivoluzione silenziosa” e cioè come la presenza di manodopera femminile sin dal periodo delle grandi guerre abbia modificato, almeno in Europa, non solo la società ma anche gli investimenti in capitale umano e nei processi decisionali dei diversi Paesi. D’altra parte, a più di 100 anni di distanza dall’inizio della stessa rivoluzione silenziosa, sembra molto evidente quanto distante ancora sia un risultato che garantisca almeno sul lavoro reale parità di genere. Nonostante tutte le trasformazioni sociali ed economiche intervenute, il cambio di paradigma procede a rilento. I divari economici tra uomini e donne appaiono persistenti e difficili da eliminare, per questo motivo la rivoluzione silenziosa di cui si parla è ancora in corso. La disparità di genere è ancora evidente nelle modalità di accesso al mercato del lavoro, nei sistemi occupazionali e nelle condizioni di lavoro.

In Europa, malgrado le politiche contro la discriminazione di genere siano sempre state prioritarie, sussistono ancora disparità sostanziali nella partecipazione organizzativa di uomini e donne. Si parla infatti sempre più spesso del cosiddetto fenomeno del “Glass Ceiling”, cioè quella barriera invisibile che impedisce alle donne di raggiungere posizioni di livello superiore. Quindi nonostante l’UE consideri la parità di genere un valore, un diritto e una componente fondamentale per la crescita economica (cosa che effettivamente ha prodotto un aumento del tasso di crescita dell’occupazione femminile), tuttavia esistono ancora tante, troppe barriere all’uguaglianza di genere nel mercato del lavoro esacerbate in parte in questi anni dalla pandemia da Covid-19.

Misurare i risultati ottenuti grazie a misure di politica economica non è semplice, secondo il “Global Gender Gap Report 2023” del World Economic Forum sono necessari 131 anni per poter raggiungere la parità di genere in tutto il mondo e più di 60 anni in Europa.

Dalla prima edizione del GGGR del 2006 ad oggi il divario si è ridotto del solo 4,1% e il tasso di cambiamento è rallentato in maniera significativa.

Il Global Gender Gap Report, per analizzare i progressi compiuti per colmare il gender gap, considera quattro aree principali: la partecipazione e l’opportunità economica, il livello di istruzione, la salute e l’emancipazione politica.

Nel 2023 la ricerca ha messo a confronto 146 paesi determinando una riduzione della disparità globale del 68,40%. Dall’analisi condotta l’Europa si posiziona in vetta alla classifica rispetto alle altre regioni del mondo con una parità di genere del 76,3%. 1/3 dei paesi si posiziona tra i primi 20, con un punteggio minimo pari al 75%. Tra questi troviamo la Norvegia (87,9%), la Finlandia (86,5%) e la Svezia (81,5%) come paesi

con le migliori performance sia a livello europeo che mondiale, mentre Ungheria, Repubblica Ceca e Cipro si posizionano in basso alla classifica EU. L’Italia (70,5%) invece è scesa di 16 posizioni rispetto al 2022, passando dalla 63° alla 79° posizione (1).

(1 )Word Economic Forum, Global Gender Gap Report, Edizione 2023

In termini di partecipazione e opportunità economica, l’Europa è terza al mondo, con un indice pari al 69,7%. Tra i punteggi più alti troviamo sempre la Norvegia, l’Islanda e la Svezia mentre l’Italia, Macedonia del Nord e Bosnia ed Erzegovina si collocano tra i paesi con i tassi più bassi.

Dal punto di vista dell’istruzione e della salute e sicurezza, tutti i paesi europei hanno raggiunto un punteggio superiore al 97%. Nell’ultimo decennio la parità di genere nell’ambito della partecipazione politica è cresciuta rapidamente raggiungendo il 39,1%. Per valutare invece la partecipazione e l’opportunità economica, quindi in generale il mercato del lavoro, bisogna tenere in considerazione diversi fattori. Uno è il tasso di occupazione. In Europa il tasso di occupazione femminile rispetto a quello maschile, nonostante una crescita nel tempo, è caratterizzato da ampie variazioni tra i Paesi, ancora una volta le classifiche vedono i Paesi scandinavi in cima alle classifiche occupazionali e altri come l’Italia e la Grecia molto indietro rispetto agli obiettivi europei. Un altro fattore da prendere in considerazione è quello del Gender Pay Gap che comprende non solo la discriminazione retributiva ma l’insieme delle disuguaglianze che le donne affrontano nel mercato del lavoro, come la segregazione settoriale e il fenomeno del cosiddetto “soffitto di vetro(2) , la barriera invisibile che di fatto rende molto complicato per le donne accedere a posizioni di comando o vertice. I dati dell’Eurostat 2021 rilevano un divario retributivo nell’UE pari al 12,7%, ciò significa che le donne guadagnano il 13% in meno all’ora rispetto agli uomini. Anche in questo caso ci sono ampie variazioni tra i Paesi. Nel 2021 il gender pay gap andava da meno del 5% in Lussemburgo, Romania, Slovenia, Italia e Polonia a oltre il 18% in Germania, Austria, Estonia e Lettonia. In particolare, come si evince dal grafico sottostante, il divario retributivo di genere maggiore è stato registrato in Estonia (23%), mentre il paese europeo con l’indice più basso è stato il Lussemburgo (2%) (Gender Pay Gap 2021, Eurostat).

(2) The gender pays gap situation in the EU, 2022. https://commission.
europa.eu/strategy-and-policy/policies/justice-and-fundamentalrights/
gender-equality/equal-pay/gender-pay-gap-situation-eu_
en#differences-between-the-eu-countries

Tuttavia occorre ricordare che un gender pay gap più

basso in alcuni Paesi non significa necessariamente che il mercato del lavoro sia più egualitario. Esistono ad esempio Paesi come l’Italia in cui lavorano poche donne ma quelle poche hanno un salario medio più alto. O ad esempio altri Paesi come la Germania in cui, la maggior parte delle donne ricopre posizioni professionali basse o ha contratti part time. Quindi in generale è possibile affermare che l’indicatore del gender pay gap sopra riportato rappresenta un complesso di disuguaglianze di genere che variano da Paese in Paese a seconda dei diversi fattori che lo possono generare come, per esempio il sistema scolastico, il welfare familiare, la struttura del mercato del lavoro, le ore di lavoro, la struttura della retribuzione.

Non esistendo modelli di genere universali per comparare la situazione nei diversi Paesi europei, si possono prendere a riferimento differenti gender pattern che consentono di analizzare le cause sociali che possono determinare possibili forme di discriminazione (3).

( 3) Eurofound Working Conditions Survey, Women men and working conditions in Europe, Publications Office of the European Union, Luxemburg, 2013, 14, 15, 40.

Se per esempio prendiamo in considerazione la misura con cui le donne e gli uomini scelgono i propri orari di lavoro, osserviamo come questi dipendano dalle condizioni del mercato del lavoro e dagli elementi del contesto sociale e culturale di riferimento. Ad esempio il fatto che la possibilità di conciliare tempo libero e lavoro sia inferiore nelle donne, è strettamente collegato alla disponibilità dei servizi per l’infanzia o alle misure di welfare che le aziende posso mettere a disposizione delle famiglie (4). Questo fenomeno alimenta la segregazione settoriale che induce la forza lavoro femminile a ricoprire ruoli professionali precari con bassi livelli di autonomia e flessibilità lavorativa.

(4)  G. Alessandrini, Educazione alla sostenibilità come “civic engagement” dall’agenda 2030 alla lezione di Martha Nussbaum, 2021 Italia, Pensa MultiMedia.

Cercando quindi di valutare il problema di genere nel suo complesso nell’area europea, si possono delineare diversi profili a seconda dei diversi Paesi.

In Danimarca i fattori che determinano il divario salariale sono la segregazione orizzontale e verticale, cioè la presenza massiccia di donne solo in particolari settori lavorativi, nel caso specifico nel settore pubblico e l’impossibilità di facile accesso a professioni scientifiche e tecnologiche.

Anche in Germania il pay gap può essere attribuito alla segregazione occupazionale, ma sembra essere più legata alla debolezza di adeguate politiche retributive e al declino dell’importanza della contrattazione collettiva, mentre le caratteristiche personali (età, istruzione) giocano un ruolo minore. Il livello di

istruzione rappresenta invece una componente

fondamentale in Spagna, dove il gender gap aumenta con la specializzazione scolastica. Per cui le professioni che richiedono un elevato grado di specializzazione e prevedono retribuzioni più elevate sono aree con maggiore disuguaglianza.

In Francia la causa principale del divario salariale di genere è l’orario di lavoro. Il 30% della forza lavoro femminile ricorre alla formula del part time contro il 7,3% della forza lavoro maschile. Altre cause ma di importanza minoritaria, sono da ricercarsi dalle caratteristiche del mondo del lavoro come il livello occupazionale e le dimensioni delle aziende (Indagine sull’occupazione, 2002).

Infine, in Italia, il 70% del divario retributivo di genere è dovuto alle precarie politiche remunerative e il 30% alle caratteristiche del capitale umano.

Il 5 marzo 2020 la Commissione ha lanciato una nuova Strategia per la parità di genere 2020-2025. Le tematiche principali sono:

  • La violenza contro le donne;
  • La trasparenza retributiva e il divario di genere a livello retributivo;
  • L’equilibrio di genere negli organi sociali;
  • L’equilibrio tra lavoro e vita privata (5).
(5) Eu Commission, Report on gender equality in the EU, 2023, Luxembourg, Publications Office of the European Union.

Tra i primi risultati della strategia, il 4 marzo 2021 la Commissione ha presentato una proposta su misure vincolanti per la trasparenza retributiva. L’8 marzo 2022 la Commissione europea ha adottato una nuova proposta di direttiva a livello comunitario per combattere la violenza contro le donne, che mira ad introdurre norme sui diritti di questo gruppo di vittime di reati e a configurare come reato le forme di violenza contro le donne. Un traguardo fondamentale è la direttiva sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione, adottata il 22 novembre 2022, che punta a migliorare l’equilibrio di genere nelle posizioni decisioni delle imprese nelle società quotate dell’UE (6).

(6) European Commission, 2020, https://commission.europa.eu/ strategy-and-policy/policies/justice-and-fundamental-rights/ gender-equality/gender-equality-strategy_en

La politica pubblica rappresenta quindi lo strumento che può accelera il progresso verso la parità di genere, questa deve garantire l’assistenza all’infanzia, i congedi di maternità, paternità e parentali, le politiche fiscali, le quote di genere, gli interventi sul mercato del lavoro, il sistema pensionistico e l’organizzazione del lavoro(7).

(7) Profeta, Parità di genere e politiche pubbliche: misurare il progresso in Europa, 2021 Bocconi University Press.

*Odcec Roma

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