LA PARITÀ DI GENERE NELL’AVVOCATURA: NON BASTA CHIAMARCI AVVOCATE

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di Giada Rossi*

La parità di genere non è solo un principio sancito nella Carta Costituzionale atto a garantire a uomini e donne pari dignità e pari diritti, ma è una sfida che quotidianamente investe tutte le professioni e i mestieri.

Il grande successo della serie televisiva dedicata a Lidia Poët, primo avvocato donna in Italia, ha riacceso il dibattito sulle disparità di genere (o gender gap) che hanno afflitto e che ancora oggi affliggono sia la nostra società che, per quanto qui interessa, la professione forense.

Siamo ormai lontani dagli anni in cui alle donne era preclusa l’iscrizione all’albo degli avvocati, ma non possiamo certo dirci vicini alla tanto agognata parità.

Nel corso del ‘900 la crescita delle donne nell’avvocatura è stata graduale e costante, arrivando oggi a rappresentare il 47,7% degli iscritti all’albo degli avvocati, contro il 52,3% degli uomini (basti pensare che negli anni 90 le donne raggiungevano solo il 20% degli iscritti).

Tuttavia, a tale parità numerica non corrisponde una parità sostanziale e rappresentativa: ancora minoritaria la rappresentanza delle donne negli organi istituzionali o nelle posizioni di vertice degli studi legali e tuttora molto ampio il divario reddituale fra i generi.

Come riportato dagli organi di stampa, il Rapporto 2022 sullo stato dell’avvocatura realizzato dal Censis per Cassa Forense ha evidenziato come sia rimasta inalterata la differenza di reddito tra i due sessi, con uno scarto in media superiore ai 30 mila euro (il reddito medio degli uomini è pari a 56.768 euro contro un reddito medio femminile di 26.686).

Il caso più eclatante è proprio quello della Lombardia, dove le donne contano un volume di affari medio di 63.478 euro contro i 182.430 della media maschile. In termini di reddito si registra quindi un reddito medio femminile di 43.232 euro, mentre quello maschile è di 108.835 euro: una differenza superiore ai 65 mila euro.

Le ragioni del divario reddituale sono molteplici, ma fra tutte spicca la reale difficoltà a conciliare la vita familiare e quella professionale. Basti menzionare da ultimo il caso che lo scorso aprile ha suscitato grande indignazione in tutta l’avvocatura e comportato financo l’intervento del Consiglio Nazionale Forense a difesa di una donna avvocato che aveva rappresentato un legittimo impedimento a presenziare ad un’udienza coincidente con la giornata nella quale il figlio avrebbe subito un intervento in day hospital, istanza respinta dai magistrati sull’assunto che il bambino avrebbe potuto essere accompagnato in ospedale dal padre. L’udienza si teneva quindi in assenza dell’avvocato.

Altro fattore importante nella disparità di trattamento è rappresentato dai pregiudizi culturali, che ancora oggi associano la professione forense a un ruolo tipicamente maschile. Sono rare le colleghe che, nella loro carriera, non siano state chiamate almeno una volta Signora (o Signorina, se avevano anche lo svantaggio dell’età), e ciò non solo da parte di clienti o “non addetti ai lavori”, ma persino da parte di colleghi uomini.

Oggigiorno, stante la forte enfasi, anche mediatica, sulla declinazione al femminile di titoli o cariche (sindaca, ministra, etc), anche i clienti già soliti ad utilizzare il titolo rivolgendosi alla donna professionista si trovano confusi e tentennano di fronte alla necessità di abbracciare il termine avvocata, arrivando a chiedere all’interessata come desideri essere appellata.

Il dibattito terminologico sul titolo di avvocata, avvocatessa o avvocato invero lascia indifferenti molte colleghe, le quali non si interessano della desinenza, pretendendo semplicemente che venga loro riconosciuto in toto il titolo raggiunto – e che, se usato nella versione avvocato, rappresenta per molti una definizione unisex, definitoria di un’unica categoria professionale, indipendente dal genere. In fondo, a giudizio di chi scrive, si tratta di una questione “nominalistica” che non arriva al cuore del problema.

Accanto ai fattori di disparità menzionati, vi sono ulteriori aspetti che acuiscono il divario, ma che dipendono dalle stesse donne avvocato, che per indole o naturale empatia, ammettono ad esempio di incontrare difficoltà, o comunque disagio, nel richiedere i propri onorari; inoltre, riconoscono di avere una eccessiva propensione ad andare incontro alle esigenze del cliente che palesi difficoltà economiche o che richieda una riduzione del compenso – sebbene siano invece eccellenti nel recupero dei crediti nell’interesse dei clienti, in quel caso senza fare sconti alle controparti. Al contempo le donne hanno la tendenza a prendere a cuore i casi dei clienti e a dedicarvisi con tutte le loro energie, comprendendo quindi forse troppo tardi che l’onorario preventivato risultava non adeguato allo sforzo e al tempo impiegato.

E’ innegabile che vi siano differenze ontologiche fra i due sessi, anche dal punto di vista neurologico.

Studi scientifici hanno dimostrato che esistono delle differenze strutturali e funzionali tra il cervello maschile e quello femminile, che impattano sul modo in cui uomini e donne ragionano.

Ad esempio, le donne tendono ad avere una maggiore connettività tra l’emisfero cerebrale destro e sinistro, il che le rende più abili nell’elaborazione di informazioni verbali e non verbali. Gli uomini, invece, tendono ad avere una maggiore connettività tra le regioni cerebrali coinvolte nella risoluzione dei problemi.

Queste differenze possono spiegare perché le donne tendono a essere più abili nell’ascolto attivo e nell’empatia, mentre gli uomini tendono ad essere più abili nella risoluzione di problemi matematici.

Ovviamente le differenze tra il cervello maschile e quello femminile sono in genere di natura statistica, il che significa che non tutti gli uomini e le donne rientrano necessariamente in questi modelli. Inoltre, le differenze cerebrali tra uomini e donne sono influenzate, tra l’altro, da fattori biologici e ambientali, come gli ormoni, la cultura e l’esperienza.

La contrapposizione frontale tra i due mondi, patriarcale e matriarcale, ci è stata proposta anche nel recente film dedicato alla più famosa bambola della Mattel, Barbie, ma, ancora, senza centrare il punto. Anticipando le conclusioni, la soluzione del problema del Gender Gap non può che passare attraverso la comprensione delle differenze di genere e nella integrazione e valorizzazione delle diverse attitudini e professionalità, eliminando gli ostacoli che nel contesto lavorativo e, ancor prima, sociale e culturale limitano la vera conciliazione fra esigenze personali e professionali.

A livello operativo, negli studi legali a composizione mista, nei quali vengono comprese e valorizzate le diverse professionalità, anche mediante specifici percorsi di formazione, i risultati sono eccellenti.

Misure come lo smart working o politiche di sostegno alla genitorialità, accanto alla già menzionata evoluzione (o rivoluzione in certi casi) culturale, sono fondamentali per il vero raggiungimento della parità di genere nella professione forense, obiettivo di civiltà che richiede un impegno condiviso da parte di tutti gli attori coinvolti, legislatore compreso.

Di grande impatto il lavoro del Comitato Pari Opportunità Nazionale o dei singoli Ordini degli Avvocati, che da anni hanno avviato non solo una sensibilizzazione sul tema, ma reale “rivoluzione culturale”, volta a scardinare i pregiudizi culturali e a porre in atto misure concrete tese alla conciliazione della vita familiare e professionale a tutti i livelli, dagli studi professionali alle istituzioni giudiziarie.

Non da ultimo, sono proprio le donne avvocato a dover continuare ad essere in prima linea, pretendendo adeguate misure di sostegno alla genitorialità, perseguendo una reale parità economica e non desistendo dall’obiettivo di raggiungere posizioni di rilievo, istituzionali o negli studi legali, al contempo non avendo paura di affrontare temi, considerati ancora veri e propri tabù nella nostra società, quali l’apporto maschile nella gestione della prole e la cura della casa, mirando quindi ad una effettiva parità, non solo in ambito lavorativo.

*Avvocato in Milano

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