I DETENUTI E IL LAVORO: UNA REALTA’ COMPLICATA

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di Oriana Costantini*

“Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”. 

Questo è quanto viene sancito dall’art. 27 comma 3 della Costituzione. La rieducazione ha l’obiettivo di far acquisire al condannato i valori fondamentali della convivenza al fine di reinserirlo socialmente. Il Lavoro su cui la stessa Repubblica italiana si fonda (art.1 Costituzione) svolge un ruolo fondamentale per promuovere la reintegrazione sociale.

Nel Regolamento del 1931 il lavoro nel regime penitenziario aveva carattere puramente afflittivo e di mera espiazione della pena. È solo a partire dal 1975, con il nuovo Ordinamento Penitenziario, Legge 354/1975 che il lavoro dei reclusi assume una nuova e precisa connotazione: non deve avere carattere afflittivo e deve essere retribuito (art. 20 comma 2); deve essere garantito al maggior numero di detenuti (art. 20 comma 3); lo svolgimento deve avere modalità analoghe, quanto più possibile, a quelle utilizzate fuori dal carcere (art. 20 comma 5).

Quanto disposto dal legislatore aveva l’obiettivo di agevolare l’inserimento dei detenuti in società, di eliminare disuguaglianze ed emarginazione, ma soprattutto di dare al detenuto la possibilità di provvedere in maniera agevolata a cambiare stile di vita dopo la detenzione.

Nelcorsodeglianni, però, osservandoidati Ministeriali, si è rilevato che la possibilità di lavoro all’interno del carcere non era egualmente distribuita tra le Regioni e tra le carceri italiane e che spesso i detenuti venivano impiegati solo ed esclusivamente in attività poco qualificate e quindi acquisivano competenze poco spendibili nel mercato del lavoro una volta terminata la detenzione ma, soprattutto, che il lavoro era diretto prevalentemente dall’Amministrazione Penitenziaria.

Al fine, quindi, di incentivare sempre più i datori di lavoro, sia pubblici che privati, a instaurare rapporti lavorativi con i detenuti, è stata introdotta la legge 193/2000, meglio conosciuta come Legge Smuraglia.

Obiettivo primario della legge è quello di agevolare l’inserimento dei lavoratori detenuti, prevedendo la concessione di sgravi contributivi e fiscali, incentivando lo svolgimento del lavoro all’interno del carcere. Come disposto dall’art. 20 dell’Ordinamento Penitenziario, il lavoro può essere svolto sia all’interno che all’esterno degli stabilimenti penitenziari. Ora però, c’è da considerare che i detenuti che possono accedere al lavoro esterno, sono esclusivamente i semiliberi e gli art. 21, che rappresentano una netta minoranza rispetto all’intera popolazione detenuta e quindi, era necessario trovare un sistema che incentivasse il lavoro all’interno del carcere.

Pertanto, il legislatore ha disposto il requisito fondamentale per poter accedere alle agevolazioni, che per le aziende private e pubbliche, è quello che il lavoro sia svolto all’interno degli istituti penitenziari. Solo ed esclusivamente le cooperative sociali beneficiano delle agevolazioni sia per lo svolgimento di attività lavorative svolte all’interno che all’esterno delle carceri.

I datori di lavoro beneficiari sono: le cooperative sociali di cui alla legge 381/1991, che assumono persone detenute e internate negli istituti penitenziari o persone condannate e internate ammesse al lavoro esterno, nonché ex degenti di ospedali psichiatrici giudiziari (art. 4, co. 3-bis, legge 381/1991); aziende pubbliche e private che, organizzando attività di produzione o di servizio all’interno degli istituti penitenziari, impiegano persone detenute e internate (art. 2, legge 193/2000). Dal 2019, per poter accedere al beneficio sia le prime che le seconde, dovranno procedere con la stipula di una convezione con l’amministrazione penitenziaria.

I lavoratori interessati al beneficio, quindi, sono:

  1. Detenuti e internati negli istituti penitenziari
  2. Ex  degenti   di   ospedali   psichiatrici,   anche giudiziari, oggi REMS
  3. Condannati e  internati  ammessi  alle  misure alternative alla detenzione e al lavoro esterno.

L’incentivo consiste in uno sgravio pari al 95 % dell’aliquota contributiva (decreto interministeriale Giustizia-Finanze del giugno 2014) complessivamente dovuta (quota a carico del lavoratore e del datore di lavoro), calcolata sulla retribuzione corrisposta al lavoratore. Ai fini della determinazione dello sgravio, sono esclusi:

  1. il  contributo   dello   0,30%   previsto   dall’art. 25    4  della  legge  n.  845  del  21  dicembre 1978      (integrativo     Naspi)     destinabile     al finanziamento dei fondi interprofessionali per la formazione continua
  2. L’accantonamento del TFR al Fondo di Tesoreria
  3. Il contributo  dovuto  ai  Fondi  di  solidarietà bilaterali
  4. Le contribuzioni   che   non   hanno   natura previdenziale o di natura solidaristica
  5. Il  contributo   di   solidarietà   sui   versamenti destinati alla previdenza complementare e/o ai fondi di assistenza sanitaria
  6. Il contributo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo.

Lo sgravio spetta per le assunzioni con contratto di lavoro subordinato sia a tempo determinato che indeterminato, anche a tempo parziale, compresi i rapporti di apprendistato, di lavoro intermittente e assunzioni effettuate a scopo di somministrazione. Sono esclusi i rapporti di lavoro domestico.

Il beneficio spetta per tutta la durata del rapporto e fintanto che i lavoratori si trovano nella condizione di detenuti e internati. Lo sgravio contributivo può essere applicato anche nei sei mesi successivi alla cessazione dello stato di detenzione.

Dal 20 agosto 2013, lo sgravio contributivo spetta anche per i 18 mesi successivi alla cessazione dello stato detentivo, a condizione che l’assunzione del detenuto e internato sia avvenuta mentre lo stesso era ammesso al regime di semilibertà o al lavoro esterno. Nel caso di detenuti e internati che non hanno beneficiato della semilibertà o del lavoro esterno, invece, lo sgravio contributivo spetta per un periodo di 24 mesi successivo alla cessazione dello stato detentivo, sempre che l’assunzione sia avvenuta mentre il lavoratore era in regime di restrizione.

Occorre prestare attenzione nel caso in cui sussistano i presupposti per l’applicazione di più incentivi: in tal caso il datore di lavoro non può usufruire di entrambi gli incentivi, ma è sua facoltà decidere quale incentivo voler applicare. Si precisa che una volta attivato il rapporto di lavoro con un particolare tipo di regime agevolato, non sarà più possibile applicarne un altro. Lo sgravio, invece, sarà cumulabile con i soli incentivi di natura economica come l’assunzione di disabili e assunzione di lavoratore in Naspi.

Per l’accesso al beneficio, i datori di lavoro devono essere in possesso dei requisiti di regolarità contributiva per i singoli Istituti previdenziali.

Con la Circolare n. 27 del 15 febbraio 2019, l’Inps ha fornito importanti istruzioni operative per l’accesso ai benefici contributivi previsti.

A partire dall’annualità 2019, i datori di lavoro devono presentare ogni anno apposta istanza all’Inps, anche per i rapporti di lavoro e lavoratori già autorizzati negli anni precedenti, avvalendosi del modulo “DETI” all’interno dell’applicazione “DiResCo”.

All’interno del modulo sarà necessario indicare: il codice dell’unilav; i dati del lavoratore; gli estremi della convenzione stipulata con l’amministrazione penitenziaria; la tipologia di rapporto di lavoro instaurato; eventuale data di cessazione dello stato detentivo nel caso in cui si stesse richiedendo il beneficio per il periodo successivo alla cessazione della detenzione; la retribuzione e l’importo del beneficio spettante proiettato sull’intera annualità.

I datori di lavoro ammessi al beneficio possono usufruire dello sgravio utilizzando il codice “4V” all’interno delle denunce UniEmens. L’autorizzazione al codice dovrà essere richiesta ogni anno, tramite cassetto previdenziale (scadenza 31 dicembre).

Oltre allo sgravio contributivo, il legislatore ha previsto una serie di agevolazioni fiscali sotto forma di credito di imposta (Decreto Interministeriale 148 del 24 luglio 2014; provvedimento del 27 novembre 2015 n. 153321 dell’Agenzia delle Entrate):

4. nella misura  massima  di  520  euro,  per  ogni lavoratore  assunto,  in  favore  delle  imprese  che assumono,  per  un  periodo  non  inferiore  a  30 giorni, lavoratori detenuti o internati, anche quelli ammessi al lavoro all’esterno ai sensi dell’art. 21 della legge 26 luglio 1975, 354, o che svolgono attività formative nei loro confronti;

5. nella misura  massima  di  300  euro,  per  ogni lavoratore  assunto,  in  favore  delle  imprese  che assumono, per un periodo non inferiore a 30 giorni, detenuti semiliberi provenienti dalla detenzione o che svolgono attività formative nei loro confronti.

In caso di lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo parziale, il credito d’imposta spetta in misura proporzionale alle ore prestate. Lo sgravio fiscale è inoltre previsto:

  • per i  18  mesi  successivi  alla  cessazione  dello stato   detentivo   per   i   detenuti   ed   internati che hanno beneficiato della semilibertà o del lavoro esterno, se il rapporto di lavoro è iniziato mentre il soggetto era  ristretto;
  • per i  24  mesi  successivi  alla  cessazione  dello stato detentivo nel caso di detenuti ed internati che non hanno beneficiato della semilibertà o del lavoro  all’esterno.

Anche in questo caso, al fine di accedere allo sgravio, i datori di lavoro devono stipulare un’apposita convenzione con la Direzione dell’Istituto penitenziario dove si trovano i lavoratori assunti nonché assumere i lavoratori con un contratto di lavoro subordinato e corrispondere agli stessi un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai Ccnl.

Nonostante il tentativo esperito dalla Legge Smuraglia di incentivare il lavoro dei reclusi, ad oggi l’obiettivo non è pienamente concluso, sia perché la popolazione penitenziaria è in costante aumento, sia perché le strutture delle carceri italiane in molti casi, non sono adeguate allo svolgimento del lavoro al suo interno.

Inoltre, sia le aziende che l’Amministrazione Penitenziaria riscontrano molteplici difficoltà nell’approccio alla normativa. Le aziende riscontrano difficoltà nell’approcciarsi a questa nuova prospettiva del lavoro, dovendosi interfacciare con una realtà sconosciuta. Per l’Amministrazione Penitenziaria sussiste la notevole difficoltà di trovare il giusto connubio tra apertura all’attività lavorativa ed esigenze di sicurezza.

L’assunzione di un detenuto porta con sé limiti ed urgenze che coinvolgono diverse figure istituzionali, rallentate anch’esse da ostacoli posti da una normativa frammentaria e si oserebbe dire poco realistica, o meramente teorica e generica, che non tiene conto delle diversissime realtà ed esigenze. Inoltre, è da tener presente, che tutto questo ha un impatto economico da non sottovalutare. Limiti e rallentamenti si traducono in tempi e costi maggiori e quindi per le aziende diviene poco competitivo far svolgere il lavoro all’interno del carcere.

Le stesse cooperative sociali, che sono tra le prime chiamate a perseguire gli obiettivi di integrazione e rieducazione sociale, vengono scoraggiate dai tanti pregiudizi e dalle remore riguardo l’assunzione di un detenuto o di un malato psichiatrico, senza poi parlare dei lunghi tempi di attesa per le autorizzazioni da parte dei magistrati e dell’iter burocratico macchinoso.

In conclusione, nonostante l’impianto normativo indirizzato ad un’evoluzione dell’attività lavorativa nel senso sopra analizzato, si evince l’assenza di una prassi applicativa che renda fluida, chiara e certa l’attuazione della normativa di riferimento, volta ad agevolare le aziende e le cooperative che intendono intraprendere questo percorso.

L’aver istituito norme agevolative al fine di incrementare l’occupazione, senza prima aver reso possibile lo svolgimento del lavoro stesso all’interno delle carceri, è la prova che, come spesso accade, non si ha una visione concreta e pragmatica della problematica relativa all’istituzione carceraria.

*Odcec Parma

 

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