ONERI MOTIVAZIONALI DEL DATORE DI LAVORO CHE VOGLIA LIMITARE AD UNA UNITÀ E/O SETTORE PRODUTTIVO LA PLATEA DEI LAVORATORI DA LICENZIARE EX LEGE 223 DEL 23.07.1991 (CASS., SEZ. LAV., ORDINANZA N. 18215 DEL 3 LUGLIO 2024)

di Bernardina Calafiori e Alessandro Montagna*

Con la sentenza n. 18125 del 23 aprile 2024, depositata in cancelleria il 3 luglio u.s., la Suprema Corte di Cassazione è tornata ad analizzare una questione molto importante e delicata per le imprese che occupino più di quindici dipendenti (compresi i dirigenti) e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia.

Come noto, una delle questioni più delicate concerne l’individuazione della platea dei lavoratori assoggettati alla procedura di licenziamento collettivo, dato che l’art. 5, comma I°, della citata Legge 223/91 si limita a fare riferimento alle “… esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale …” e – in virtù della sua generica formulazione – legittima il dubbio circa la liceità di un licenziamento collettivo limitato ai dipendenti addetti ad un singolo reparto e/o unità produttiva e non esteso ai lavoratori dell’intero complesso aziendale.

Al riguardo, la sentenza in commento fornisce un importante contributo alla soluzione del quesito, da un lato statuendo la legittimità di un licenziamento collettivo circoscritto ad un limitato gruppo di dipendenti e da un altro lato gravando il datore di lavoro di un obbligo motivazionale particolarmente stringente al quale assolvere in sede di comunicazione alle OO.SS. ai sensi dell’art. 4, comma III°, della Legge 223 del 23 luglio 1991.

Secondo la Suprema Corte, infatti, se la regola legale di cui all’art. 5 della Legge 223/91 prevede che l’individuazione dei lavoratori da licenziare debba essere effettuata in riferimento al “complesso aziendale” nella sua interezza, il datore di lavoro che voglia derogare a detta regola e, dunque, restringere il campo in cui è delimitata la platea dei licenziandi, sarà tenuto ad indicare nella comunicazione ex art. 4, comma 3, l. n. 223 del 1991:

  • sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti di una determinata unità produttiva o settore aziendale;
  • sia le ragioni per le quali gli addetti alla unità o settore soppresso o ridimensionato non possano essere utilizzati e comparati con dipendenti del restante complesso aziendale, in quanto, ad esempio, non svolgano mansioni fungibili con quelle di coloro che lavorano nel resto dell’azienda.

Dunque, secondo la Suprema Corte, il datore di lavoro che voglia limitare il novero della platea dei lavoratori da licenziare, non potrà limitarsi ad una motivazione generica e standardizzata, ma sarà tenuto a specificare con puntualità tanto le ragioni (ossia: le esigenze tecniche, organizzative e produttive) alla base di detta limitazione quanto le ragioni che ostino alla salvaguardia del posto di lavoro dei lavoratori così licenziati, quali, ad esempio, la interscambiabilità con dipendenti addetti ad altre unità produttive / reparti della medesima azienda.

Sotto tale ultimo profilo, in particolare, è opportuno segnalare che la Suprema Corte – richiamando alcune sue precedenti pronunzie – ha evidenziato, in particolare, che “… in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, non assume rilievo, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo”, in quanto tra i parametri dell’art. 5, L. n. 223 del 1991 non è prevista “la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all’esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile e non potendosi aprioristicamente escludere che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento a seguito del riassetto delle posizioni lavorative in esito alla valutazione comparativa preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro” (v. Cass. n. 17177 del 2013; Cass. n. 32387 del 2019; Cass. n. 22040 del 2023).

Pertanto, l’eventuale aggravio di costi a carico del datore di lavoro per il trasferimento di un dipendente o di un gruppo di dipendenti, addetti alla unità produttiva e/o reparto in via di soppressione, non potrà mai costituire una valida ragione per la limitazione ai soli dipendenti di detta unità produttiva e/o reparti del novero dei dipendenti da licenziare.

*Avvocati Studio Legale Daverio & Florio

 

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