CRITERI DI COMPUTO DEL PERIODO DI COMPORTO IN CASO DI (RELATIVA) INDETERMINATEZZA DELLE CLAUSOLE DEL CCNL APPLICABILE AL SINGOLO RAPPORTO DI LAVORO (CASS., SEZ. LAV., 8 MAGGIO 2024 N. 12487).

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di Bernardina Calafiori e Alessandro Montagna*

Con la decisione n. 12487 del 23 gennaio 2024, depositata in cancelleria in data 8 maggio 2024, la Corte di Cassazione ha affrontato e risolto un interessante caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di un dipendente di una nota Banca d’affari italiana, nel quale è stata chiamata a stabilire se – in presenza di una clausola del contratto collettivo che indichi, quale “arco temporale esterno” nel quale computare il numero massimo di assenze consentite, il termine di n. 24 mesi, senza ulteriori aggiunte o precisazioni – il suddetto periodo debba essere computato secondo il calendario comune o meno.

Al fine di dirimere tale questione – che, nel caso di specie, era essenziale per determinare se il dipendente avesse effettuato un numero di

assenze idoneo a giustificarne il licenziamento per superamento del comporto – la Suprema Corte ha precisato che:

  • la regola secondo cui un termine fissato a mesi deve essere computato secondo il calendario comune (art. 2963, comma primo, civ. e art. 155, comma secondo, cod. proc. civ.), trova applicazione solo quando non sussistano clausole contrattuali di diverso contenuto che assumano una durata convenzionale fissa costituita da un predeterminato numero di giorni, astrattamente basato sulla durata media del mese (30 giorni);
  • l’assenza di un’espressa pattuizione disciplinante la materia non comporta, di per sé, l’automatica utilizzazione del citato criterio ordinario, posto che la comune volontà delle parti può essere desunta, pur in assenza di una espressa volontà derogatoria, attraverso l’interpretazione complessiva di clausole anche indirettamente riferibili alla determinazione del periodo utile ai fini del comporto.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha sottolineato che, allorquando il periodo di comporto sia fissato in un termine fisso (come nel caso di specie: in n. 24 mesi) e non sia possibile attribuire all’espressione contrattuale voluta dalle Parti sociali un significato convenzionale diverso da quello desumibile dal calendario comune, si deve necessariamente fare riferimento a tale “ordinaria” modalità di calcolo, posto che, diversamente, la volontà comune espressa dalle Parti sociali verrebbe neutralizzata e superata da una “lettura” creativa delle clausole collettive non corrispondente al reale intendimento delle Parti sociali.

Nel caso di specie, ed in applicazione di tali criteri, la Suprema Corte ha statuito che il licenziamento intimato dalla Banca d’affari al suo dipendente non era legittimo, escludendo, a supporto della sua decisione, che – in presenza di una clausola collettiva che fissava l’arco temporale esterno in n. 24 mesi, per la cui determinazione doveva farsi riferimento al calendario comune, alla luce di quanto detto in precedenza – il periodo di comporto nel quale computare le assenze fosse pari a trecentosessanta giorni (trenta giorni per ciascun mese moltiplicato per dodici), come pretendeva la Banca, richiamando un’altra e distinta clausola collettiva dettata per l’ ambito retributivo, nel quale la retribuzione giornaliera si calcola dividendo per trenta la retribuzione mensile, che, però, non era applicabile alla materia in esame.

**Avvocati Studio Legale Daverio & Florio

 

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