LA SPROPORZIONE DELLA SANZIONE ESPULSIVA NON INTEGRA AUTOMATICAMENTE LA NATURA RITORSIVA DEL LICENZIAMENTO. CASS., SEZ. LAV., 9 GEN. 2024, N. 741
di Bernardina Calafiori e Eleonora Ilario*
Un lavoratore impugnava giudizialmente ilmlicenziamento per giusta causa comminatogli a seguito di due ordini di addebiti, cui si aggiungeva la recidiva. In particolare, al lavoratore veniva, in primo luogo, contestato di aver avuto un acceso diverbio con una collega, di cui era superiore gerarchico, a seguito del quale il lavoratore aveva strattonato la dipendente, impedendole anche di allontanarsi dal luogo della discussione.
Il secondo ordine di addebito consisteva invece in una serie di inadempimenti, quali la non corretta disposizione della merce nel negozio e l’errore dell’indicazione del prezzo di una merce.
Per il lavoratore il licenziamento sarebbe stato illegittimo in quanto ritorsivo. A sostegno di tale tesi il lavoratore deduceva:
- di aver subito un primo trasferimento dichiarato giudizialmente illegittimo, con ordine di ripristino del rapporto di lavoro presso la sede originaria adempiuto dalla Società con un ingiustificato ritardo di circa un anno;
- di essere stato vittima di una serie di ulteriori condotte vessatorie, quali la sollecitazione rivolta dal superiore gerarchico ai colleghi di segnalare tutte le sue possibili mancanze e l’avvio di una serie di procedimenti disciplinari, tutti conclusisi con sanzioni di tipo conservativo.
In primo grado, il Tribunale di Padova escludeva il licenziamento ritorsivo e, pur ritenendo sussistenti i fatti contestati al lavoratore, dichiarava illegittimo il licenziamento per difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva, con applicazione della tutela indennitaria ex art. 18, comma quinto, statuto dei lavoratori.
La Corte d’Appello di Venezia riteneva invece di potersi ravvisare un indizio dell’intento ritorsivo della società recedente nell’assenza di proporzionalità tra la sanzione espulsiva e la gravità dell’addebito, con conseguente dichiarazione di nullità del recesso e reintegra del lavoratore.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, è stata di diverso avviso.
In particolare, con l’ordinanza n. 741 del 9 gennaio 2024 qui in commento, i giudici di legittimità ricordano che perché possa qualificarsi il licenziamento come ritorsivo il motivo illecito deve essere determinante, deve, cioè, costituire l’unica effettiva ragione di recesso.
Pertanto, chiariscono i Giudici di legittimità, sebbene “la …sproporzione della sanzione espulsiva… può avere rilievo presuntivo” ciò non comporta automaticamente la natura ritorsiva ma “è necessario che la prova presuntiva poggi su elementi ulteriori, come l’elevato grado di sproporzione della sanzione espulsiva, anche rispetto alla scala valoriale espressa dalla contrattazione collettiva, idonei a giustificare la collocazione dell’atto datoriale nella sfera della illiceità, anziché in quella della illegittimità”.
Il licenziamento, quindi, deve risultare “non solo sproporzionato ma volutamente punitivo”.
La Cassazione ha quindi accolto il ricorso della società ed ha rinviato alla Corte d’Appello di Venezia per una nuova valutazione in conformità ai principi sopra richiamati.
*Avvocati Studio Legale Daverio & Florio